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Il mese legale

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Il corpo umano è una macchina meravigliosa che, quando funziona, ha in sé parecchie risorse per adattarsi all’ambiente. Il problema dei viaggi lunghi è rappresentato da troppi cambiamenti. Il fuso orario, il clima, il cibo, la lingua, i costumi, etc. Già, perché anche se sembra strano, quando sei a Parigi è come se ti sentissi a casa.

La lontananza non viene percepita come un fattore di distacco dalle proprie abitudini quotidiane. Eppure ci si trova a migliaia di chilometri da casa. Sarà forse perché si vestono come noi, hanno le stesse facce incazzate di Roma, il cibo è più o meno quello cui si è abituati a comprare in qualsiasi supermercato italiano, le macchine sono le stesse, i vestiti seguono la stessa moda che hai lasciato a casa, la tecnologia è dovunque, il tempo fa schifo, ma anche se Parigi è molto meglio di una qualsiasi città del Nord Italia, tutti vanno di corsa, impegnati a pensare alle loro cose.

Un altro continente, invece, è un altro mondo.

I chilometri sono sempre tanti, ma ci si sente calati non soltanto in un altro paese, ma in un’altra realtà, come se fosse realtà virtuale. L’effetto che mi fecero i viaggi intercontinentali fu quello di uno sdoppiamento di personalità. Come se vivessi in un sogno, o in un altro pianeta. Era tutto strano.

Il fuso orario (o jet lag) è la cosa che i viaggiatori percepiscono per prima. Si parte da Roma alle 12, e dopo otto ore di volo il nostro fisico registra le 20. Ha voglia di cena, e dopo un po’ di andare a dormire. Ma c’è una sorpresa.

Appena scesi dall’aereo, l’orologio dell’aerostazione segna le 14. Il sole è alto, la gente ancora è nel pieno della giornata lavorativa, anzi, ha appena terminato di pranzare.

Dunque, per mangiare devi aspettare le otto di sera locali, che però secondo il tuo fisico sono già le due di notte. Qualcosa non torna. Il tuo fisico, come fosse un alieno, ragiona per conto suo e pensa: adesso ho sonno e questo (tu) mi dà da mangiare, prima avevo fame e si è messo a girare per la città, quando sarò pieno di energie si metterà a dormire. Perché il buon Dio ha voluto mettere in un fisico così sano una mente così malata?

L’altro fattore destabilizzante è il clima. Si parte di notte da Roma e si arriva di giorno a Johannesburg. L’orologio biologico è in accordo con quello locale, nel senso che non ci sono fusi, ma ti ritrovi in un’altra stagione. Sei partito, imbacuccato fino al collo per una tramontana invernale che ti gelava sin dentro le ossa, e atterri in piena estate dove sudi solo a pensare.

Oppure parti d’estate da Milano, con l’afa della grande città con pochi alberi, e ti ritrovi a Buenos Aires nel cuore di un inverno rigidissimo. Il solito fisico, che va per conto suo, pensa di nuovo che la pelle ha dei limiti di dilatazione e di contrazione. E che non è sintetica.

Se vai in Australia unisci l’utile al dilettevole: cambi fuso e stagione. Il corpo ti comincia a mandare chiari segnali di dissociazione, tipo occhi zebrati, lingua cartonata, oltre tutto il corollario di tic che la natura ci ha messo a disposizione.

Eppure, nonostante queste dinamiche psico-fisiologiche alle quali i piloti sono abituati, continuo a sorprendermi ogni volta per gli articoli di giornale in occasione del cambio di ora legale in Italia. Un’ora.

Emergenza! Pericolo! Attenzione!

Per recuperare un’ora di differenza rispetto all’ora precedente devono passare sette giorni, bevete!, rilassatevi!, non uscite la sera, fate sport. Insomma, quasi quasi ci credi pure. Vorrà dire che la prossima volta che vado in America per lavoro, mi sono guadagnato un mese di ferie.

(7 febbraio 2010)

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