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Uomini o robot?

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Riuscire a parcheggiare un aereo lungo una sessantina di metri e con altrettanta apertura alare negli spazi ristretti di un terminal iperaffollato non sempre è cosa semplice, ancor meno semplice se si considera che il punto di stop deve essere centrato esattamente per permettere l'attracco del pontile di sbarco.

E' per questo che hanno inventato le segnaletiche luminose per guidare gli ultimi metri di rullaggio verso il parcheggio. Ormai sono diffuse in tutti gli scali del mondo, ma fino a pochi decenni fa costituivano un'avveniristica novità, spesso guardata con sospetto dai piloti che riponevano maggior fiducia nel buon vecchio marshall: un addetto, di solito munito di palette di segnalazione luminose, che con  cenni e gesti codificati forniva le indicazioni necessarie alla manovra.

Nelle situazioni più complicate (come certi parcheggi al Terminal One del JFK di New York) una persona sola non bastava, e ci voleva una vera e propria squadra, composta anche da due wing walker (alla lettera “camminatori delle ali”) che seguivano effettivamente passo dopo passo le estremità alari per verificare che non sbattessero da qualche parte, e completata da un quarto elemento incaricato di segnalare con precisione il punto di arresto del ruotino anteriore.

Ho usato impropriamente il passato, perché al Kennedy i marshall ci sono ancora. E ci sono ancora, inaspettatamente, negli aeroporti del tecnologico Giappone, anche se qualche dubbio sull'umanità dei marshall giapponesi a volte mi è venuto.

Vestono una tuta di un candore abbagliante, hanno un caschetto giallo e occhialoni scuri, e ti aspettano arrampicati in cima a una scaletta. Non appena il naso dell'aereo gli compare davanti, iniziano la loro opera con gesti calmi e misurati. Sempre uguali. Non gli scappa mai il cenno di OK dei loro colleghi americani. Hanno tutti la stessa statura. Mai si lasciano andare a un sorriso. Sotto il sole cocente o in mezzo alla neve, ti guidano meccanici e imperturbabili fino allo stop. A quel punto aspettano immobili un tuo cenno di saluto, si inchinano cerimoniosamente, scendono la scaletta e se ne vanno con passo militaresco.

Ho finito col credere, nel paese dei cagnolini-robot che ti fanno le feste quando rientri a casa, che anche quegli omini biancovestiti nascondessero sotto la tuta qualche complicatissimo ingranaggio.

Fino al giorno in cui, sotto una pioggia torrenziale, uno di loro è inciampato nell'ultimo gradino ed è finito lungo disteso in una enorme pozzanghera, esplodendo in una umanissima serie di imprecazioni.

A meno che, come sosteneva l'altro pilota, non si trattasse di un robot difettoso, prontamente condannato alla demolizione.

(25 febbraio 2010)

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