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La signora del bar di Milano

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Era un po’ di tempo che non venivo a Milano: stamani sono andato a fare colazione nel solito bar dietro al nostro albergo. Ci vado per diversi motivi: perché sono sempre così cordiali; perché salutano quando entri; perché gli altri baristi negli altri bar cambiano ogni volta, e ogni volta c’è una faccia incazzata in più che serve cappuccini.

Stamattina però la signora della cassa non c’era: al suo posto un signore di circa  60 anni, molto educato e discreto, che prima era dietro il bancone a preparare panini.

Ho chiesto ingenuamente: "Oggi non c’è la signora alla cassa?" Troppo tardi per capire la domanda da coglione avevo fatto: se la signora ha 60 anni è entrata in un’età dove l’assenza suggerisce di non fare domande inopportune.

Ma ormai era troppo tardi. Il signore alla cassa ha avuto un moto di commozione, tradito dalla voce che gli è diventata flebile, e con lo sguardo liquido e mi ha detto: “La signora non c’è più, se n’è andata a ottobre. Era mia moglie.”

Ha commosso anche me. Mi sembrava di parlare ad un amico. E mi dispiaceva avergli riaperto la ferita fresca. Gli ho detto: “Mi dispiace molto, era una così brava persona”. E lui: “Lo so. Sono molti tra di voi mi chiedono dov’è”.

Tornando in albergo mi sono soffermato a pensare: perché parecchi di noi chiedono dov’è la signora? Tutto sommato il nostro rapporto con lei era soltanto saluto, consumo, pago e prendo il resto. Tutto qui.

Eppure, è evidente: non è così. Era una presenza serena, tranquilla, sorridente, che, con la grazia di signora che poteva essere la mamma ideale, ti dava il resto e ti salutava. Non sembra, ma quel giorno avevi incontrato il fiore che ti aveva regalato un profumo diverso dalla puzza d’asfalto di Milano.

Nei rapporti umani non ci sono equazioni o analisi che permettono di capire come l’umore possa cambiare in funzione delle situazioni. Ma, sicuramente, siamo come spugne che assorbono tutta la positività o la negatività dal clima che si respira. Una cosa difficilissima da spiegare, da razionalizzare. Però c’è.

Perché le persone sono come i palazzi per strada. Nessuno ti dice come devi costruire il tuo palazzo, per cui il tuo gusto è sovrano. Eppure il palazzo è lì, fermo, ma invadente; lascia il segno per chi passa. Se è bello ti comunica qualcosa di chi l’ha costruito; se è brutto ti intristisce soltanto.

Le persone, come i palazzi, non hanno bisogno di parlare per lasciare un segno nella tua giornata.

Tornando in albergo, la prima persona che ho incontrato è stata la receptionist. Avrà avuto una trentina di anni, ma con uno sguardo cinico da ottantenne. C’era un’unica persona in quella hall cui prestasse attenzione: se stessa. Il resto, un inutile rumore. Forse è stata soltanto la centesima persona, in poche ore, nella quale notato questo atteggiamento, tanto da farmi tornare in mente una massima americana che ho letto in qualche libro: “Il mondo, tranne una piccola, insignificante eccezione, è fatto dagli altri”.

Ecco perché chiediamo della signora del bar di Milano.

(14 marzo 2010)

 

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