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La Escort di mio zio

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Fino a poco tempo fa, quando si parlava di Escort, si intendeva comunemente un modello della Ford, come quella che aveva mio zio: beige, smarmittata, vissuta. Escort, letteralmente, significa “scorta”. L’altro giorno, avevo a bordo una scorta della polizia penitenziaria che portava un detenuto dal Nord al Sud.

Come da procedura, il capo-scorta, che è responsabile del trasferimento, si presenta al comandante del volo per sapere come comportarsi in caso di emergenza, comunicare come gestirà l’uso delle manette etc. L’ultima volta, il capo scorta, manco a dirlo, era una donna piacente. Non me la sono sentita di dire: “Lei è la escort?”. Anche perché non avevo nessuna intenzione di accompagnare il detenuto oltre il recinto aeroportuale.

A bordo salgono spesso queste tradotte penitenziarie che trasferiscono detenuti particolarmente pericolosi da una parte all’altra della penisola. Sono denominati DEPA (deportati con accompagnatore o, nel caso della escort femminile, accompagnatrice). Ma ci sono i DEPU (deportati senza accompagnatore) e gli INAD, che sono passeggeri respinti alla frontiera che non hanno i documenti in regola e che vengono rispediti al paese di provenienza, spesso da soli.

Tra l’altro, lo Stato sostiene dei costi di tutto rispetto per la collettività, per portare avanti ed indietro questi detenuti in giro per le carceri italiane, così come per riportare eventuali immigrati irregolari nel paese di provenienza.

C’era il periodo, terribile, in cui i viados che venivano rimpatriati in Brasile davano vita a dei veri e propri happenings a bordo, imbrattando tutte le suppellettili. Oppure certi nigeriani "riaccompagnati" sul volo per Lagos, che, complice la loro stazza considerevole avevano gioco facile nel sovvertire la tranquillità a bordo.

Quando si legge di disruptive passengers (passeggeri molesti) si intendono proprio simili tipologie di passeggeri, che rendono difficile anche mantenere non solo il comfort, ma il semplice ordine pubblico a bordo. A parte questi casi, eclatanti e fortunatamente rari di insubordinazione a bordo, vi sono anche delle cose che mi fanno riflettere, come le tradotte penitenziarie.

Ad esempio, la cosa che colpisce è che spesso si fa fatica a riconoscere il detenuto in mezzo agli agenti e non perché questi ultimi abbiano facce particolarmente truci, ma per l’aspetto inoffensivo dei carcerati.

Parlando con un capo-scorta, un simpatico agente napoletano che accompagnava insieme ad altri tre un singolo detenuto, manifestai la mia perplessità; ci volevano tre persone per portare quello che ai miei occhi era un normale impiegato di banca? La risposta fu più che eloquente: aveva commesso tredici omicidi per una cosca calabrese. Tredici erano ovviamente quelli accertati, ai quali si doveva aggiungere tutto quello che non era stato appurato dal processo. In pratica, una specie di Hannibal the Cannibal in versione nostrana.

Ecco perché si dice “Non sai mai chi incontri per strada”. Ti immagini un diverbio in mezzo al traffico in cui scende dalla macchina uno così, che all’apparenza è innocuo?

Forse, è proprio er evitare questi spiacevoli incontri che in America vidi la seguente targa: “I am the one your mother warned you about” (sono quello su cui tua madre ti ha messo in guardia).

(11 aprile 2010)

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