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Come il Barone Rosso

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Fine del turno di riposo: emergo dalla branda, appallottolo le coperte gettandole in un angolo, esco dal crew bunk (affettuosamente chiamato bunker) e mi tuffo in bagno a sciacquarmi la faccia. Poi, sgranocchiati due biscotti e scolato un caffè doppio, sono pronto per tornare in cockpit.

Chiamo via interfonico, mi faccio riconoscere (cosa fondamentale dall'11 settembre in poi), e finalmente si decidono ad aprire la porta. Lo spettacolo che mi si presenta è a dir poco curioso: i miei due colleghi, più che piloti, sembrano profughi precariamente accampati con mezzi di fortuna.

Uno si è buttato sulle spalle una di quelle copertine che vengono distribuite ai passeggeri, che quando le guardi sembrano belle, e soffici, e calde... e in effetti lo sono, solo che quando te le metti addosso cominciano a emettere più scintille di un temporale tropicale; l'altro invece ha sopra la testa, penzolante dal soffitto della cabina, una complicata costruzione di fogli di carta piegati a mo' di origami giapponese.

Tutti e due hanno lo stesso problema (che tra poco sarà anche il mio): ridurre al minimo gli effetti degli spifferi maledetti... quei getti di aria gelida che nel cockpit di un aereo moderno costituiscono il normale ambiente di lavoro.

Perché i computer, gli schermi a cristalli liquidi, i circuiti integrati, il glass cockpit, il fly-by-wire, e le altre diavolerie ultratecnologiche che affollano la cabina di un jet di ultima generazione (anzi, come dicono alla Boeing, next generation... la prossima, addirittura) soffrono il caldo, e siccome costano fior di quattrini vanno in qualche modo preservati.

Le case costruttrici, a dire il vero, hanno progettato dei kit capaci di deviare le tempeste polari che si abbattono sulle cervicali dei piloti, e hanno anche costruito dei filtri in grado di attenuare quel sordo rumore di ventilatori che tormenta i nostri nervi acustici. Ma questi bei marchingegni hanno un difetto: costano più della salute dei piloti.

E allora spedisco a dormire il collega con la copertina e mi installo al posto suo, ma visto che l'elettricità statica proprio non la sopporto e che a piegare la carta sono un po' scarso, mi limito a recuperare dentro alla borsa uno splendido foulard di seta blu e con quello cerco di ripararmi alla bell'e meglio. E' un regalo di compleanno di almeno quindici anni fa, e da allora mi ha sempre seguito in giro per il mondo.

Amici e colleghi dicono che fa tanto Barone Rosso, e la cosa mi fa ridere, perché penso che, a distanza di un secolo, i piloti hanno sempre gli stessi problemi.

Far volare un aeroplano e difendersi dalle correnti d'aria.

(6 maggio 2010)

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