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La retorica risorgimentale

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Gli attacchi kamikaze stupirono il mondo soprattutto perché portavano alla “morte sicura”. La storia ci può tuttavia fornire molti altri esempi individuali di soldati che hanno combattuto in circostanze che offrivano soltanto la “morte sicura”.

Prima dell’iniziativa Tokkotai però, non era mai stato preparato alcun programma di combattimento basato esclusivamente su un tale concetto, adottato in modo sistematico e tradotto in pratica per un così lungo periodo di tempo.

Anche quando si tratta di battersi in condizioni di rischio gravissimo, c’era sempre una probabilità di sopravvivenza; l’attacco kamikaze, invece, poteva essere condotto soltanto mediante il proprio sacrificio: attacco e morte erano la stessa cosa. Per quanto possa sembrare sorprendente e poco noto, il concetto del pilota-suicida non è nato in Giappone durante la seconda guerra mondiale.

L’idea di mandare velivoli carichi di esplosivi a infrangersi contro navi da guerra nemiche era già stata ventilata in Italia nel 1935 quando, all’inizio della guerra d’Abissinia, l’Inghilterra aveva inviato nel Mediterraneo una parte della Home Fleet, a titolo intimidatorio. La nostra Marina riconobbe di non essere in grado di affrontarla (non sapendo della loro scarsa riserva di munizioni che ne avrebbe impedito l’effettivo impiego) e l’Aeronautica pensò allora di organizzare una specie di “Corpo di Velivoli Suicidi”, i cui piloti avrebbero dovuto andare a picchiare contro le navi da guerra inglesi coi velivoli carichi di bombe o siluri.

Sul fatto non esistono documentazioni certe ma diverse testimonianze di alti ufficiali di grande affidabilità.

Il terreno fertile per proporre una siffatta operazione era la retorica risorgimentale (poi fascista) che si basava su fatti eroici tramutati in mito. Arcinoto il mito di Pietro Micca che si immola nel 1706 in difesa della cittadella di Torino attaccata dai francesi assedianti. Altrettanto utilizzato il mito del “Balilla” (Giovan Battista Perasso), il ragazzo che a Genova inizia i moti del 1746 contro gli austriaci lanciando un sasso contro un’ufficiale e rimettendoci così la vita, ma incendiando la rivolta.

Il percorso costellato di atti eroici ovviamente si arricchisce nella prima guerra mondiale, uno per tutti: Enrico Toti. Naturalmente non mancano gli aviatori, molto significativo l’episodio di Arturo Dell’Oro.

Nato a Vallenar in Cile nel 1896 da emigranti italiani decise, insieme a moltissimi altri connazionali, di aiutare il paese d’origine della famiglia nel momento del conflitto,:si arruolò volontario e fu inquadrato nell’83^ squadriglia del Corpo Aeronautico. Dimostrò immediatamente ardimento e capacità non comuni, tanto da meritare una medaglia d’argento al valor militare ed una promozione sul campo.

Poco tempo prima di cadere ebbe a dire ai commilitoni: “Se l’arma mi dovesse tradire ricorrerò all’urto”. Il 1° settembre 1917, sui cieli di Belluno, dopo che la sua mitragliatrice si era inceppata, allo scopo di assicurarsi la vittoria su di un Albatros austriaco, non esitò a scagliarsi contro il nemico precipitando insieme all’avversario.

Che questi episodi venissero portati ad esempio lo esemplifica l’elogio postumo riservatogli dal suo comandante in capo: "Ordine del Giorno- Nel mattino del 1° settembre, nel cielo di Belluno, in epico combattimento aereo, il Pilota Sergente Dell’Oro Arturo, stringendo dappresso l’apparecchio nemico, tradito forse dall’arma di bordo, nell’ansia che il nemico gli sfuggisse, si scagliò con l’altra arma che non poteva tradirlo, col suo grande cuore, contro l’apparecchio avversario e nel cozzo tremendo, precipitò, assieme al nemico vinto, sul suolo della Patria. Non è questa ricostruzione di fantasia colpita davanti al duello leggendario, di fronte ai vincitori e vinti che, corpi ormai informi in mezzo al groviglio delle loro macchine infrante, giacciono sulle alte rocce del Pelf. È l’eroico mantenimento di una promessa che il prode scomparso aveva fatto ai compagni poche ore prima del suo gesto meraviglioso […] la sorte avversa ha voluto poco dopo provare il cuore d’acciaio di questo modesto Eroe, che non ha esitato a scagliare tutta la sua vita generosa contro il nemico per averne la vittoria.
Maggior Generale Leone Andrea Maggiorotti Capo dei Servizi Aeronautici del Regio Esercito Italiano.
"

A Dell’Oro sono dedicati l'aeroporto di Belluno e l'aeroporto militare di Pisa San Giusto.

Possiamo trovare alcuni episodi personali di volontario, estremo rischio o addirittura di sacrificio della propria vita, dovuti alla situazione del momento, anche nella seconda guerra mondiale, ma mai richiesti dai comandi o dai superiori.

Nel 1940 il capitano Giorgio Graffer, di Trento, abile pilota da caccia addetto alla difesa di Torino, durante un’incursione notturna da parte di un velivolo inglese, avendo le armi inceppate, si lanciò col proprio velivolo contro il nemico abbattendolo con l’urto e lanciandosi quindi col paracadute, atterrando poi salvo e vittorioso.

Il 19 luglio 1943 il tenente Bruno Serotini, di Roma, addetto alla difesa dell’Urbe durante i furiosi bombardamenti che ferirono la Capitale, dopo aver a lungo attaccato una formazione di bombardieri nemici, non vedendo alcun risultato del proprio fuoco e avendo esaurito le munizioni, si lanciò col velivolo contro uno degli avversari, abbattendolo con la collisione e precipitando lui stesso, ferito a morte e col paracadute lacerato dai colpi nemici, ripetendo così il gesto che Arturo Dell’Oro aveva compiuto nella prima guerra mondiale. Serotini era un autentico romano di Trastevere, di vecchia famiglia: innamorato della sua città, aveva sempre detto che, qualora fossero venuti a bombardarla, non avrebbe atterrato se non ne avesse almeno abbattuto uno, magari a costo di buttarglisi addosso con l'aeroplano.

Per il resto della guerra fu sufficiente che i comandanti partissero in testa ai propri stormi o gruppi di aerosiluranti o bombardieri, perché numerosi velivoli li seguissero in attacchi disperati ai quali lo stesso nemico ha reso ampio omaggio.

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(25 giugno 2010)

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