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Sudafrica

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Noto in questi giorni soprattutto per la figuraccia planetaria delle due nazionali che per pochi giorni ancora detengono i titoli di campione e vice-campione del mondo, il Sudafrica, che ha nel rugby il proprio sport nazionale, vede nel calcio una vetrina internazionale che può dare lustro a un sistema per molti aspetti esemplare.

Visitai il Sudafrica nel 1991, per una vacanza-studio in cui ebbi modo di approfondire molti aspetti interessanti di questo magnifico Paese.

In quell’epoca, la cosa che balzava evidente agli occhi di un europeo era la presenza dell’apartheid. Scavando in profondità, ci si accorgeva però che la situazione non era quella comunemente percepita in Europa, di una dominazione bianca sulla maggioranza nera, ma di prevaricazione di una minoranza etnica su un’altra. Ovvio, la distinzione bianco-nero aiuta ad avere uno stereotipo immediato, ma purtroppo poco attinente alla vera realtà dei fatti, che hanno la loro complessità nelle sfumature di grigio.

Infatti, la costituzione etnica del Sudafrica, all’epoca, vedeva i bianchi distinti in due etnie diverse: discendenti dagli inglesi e dai boeri (cioè olandesi). Non dimentichiamo che inglesi e boeri si fecero guerra in passato con i primi che emersero vincitori.

C’è poi la costellazione di etnie nere, sia di origine bantu, sia derivante da incroci vari e da immigrati, provenienti da altre parti d’Africa. Infine, la presenza di stranieri naturalizzati, soprattutto gli immancabili cinesi, gli indiani, i portoghesi, una forte comunità ebraica, e noi, i globetrotter italiani.

Il concetto africano di comunità, generalmente, si incentra sulla tribù, non sullo Stato ed è un fattore chiave nel comprendere come mai il Sudafrica sia oggi un modello positivo per tutti. Uno tra i tanti elementi che ha permesso ad un 25% di bianchi di sottomettere il restante 75% di neri è la divisione interna in tribù.

Nel dettaglio, la tribù Xhosa (cui appartiene Mandela) è maggioritaria, ma c’è anche la componente Zulu, prevalente nella regione del Natal, che si ritiene la nobiltà tribale, i guerrieri. Per la cronaca, dal 1991 al 1994 ci sono stati circa cinquemila morti l’anno per scontri tribali tra Zulu e Xhosa, con pratiche anche abbastanza cruente come il necklacing, cioè l’uccisione del nemico, cui era attorcigliato un copertone di gomma sul collo al quale veniva dato fuoco.

A queste due etnie si aggiungono i pacifici Ndebele, presenti anche nello Zimbabwe, i Sotho (maggioritari nel Lesotho), gli Tswana (che popolano anche il Botswana). Insomma, si fa presto a dire bianchi e neri.

Tra l’altro, da un’analisi comparata, scoprii nel 1991 che nella realtà africana il Sudafrica non era il caso più eclatante, poiché, in Ruanda un 10% di Tutsi sottometteva il restante 90% di Hutu. Pensai che lì la situazione era molto, ma molto, più critica di quella sudafricana, anche perché lì non esistevano personaggi come Mandela.

Nel 1994, in una settimana, furono trucidate circa un milione di persone a colpi di machete. Una settimana, un machete a testa, un milione di morti. Nell’epoca del pericolo nucleare, si stava avverando la profezia di Einstein: “Non so come si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta si combatterà con la clava”.

Invece, tutto ciò non si è realizzato in Sudafrica per la grandezza di quest’uomo è che non è stato solo un coraggioso oppositore di un regime oppressivo, ma ha dimostrato di sapere essere uno statista di prim’ordine, quando ha deciso che il primo passo per tenere il proprio Paese su un binario di prosperità, era quello di riappacificarlo con se stesso. Se avessero prevalso gli antichi, e legittimi, rancori per un passato coloniale, la situazione sarebbe potuta degenerare come in Ruanda. Con il Reconciliation Act, furono istituiti processi a coloro che si erano resi colpevoli di reati durante il regime, ma non furono comminate pene. La stessa ammissione di colpevolezza era una vittoria. Come Cesare, Mandela ha perdonato i propri nemici, avendo presente il bene del proprio paese.

Nelle nostre continue beghe italiane, tra politica e calcio, non abbiamo altro che da invidiare la squadra dei Bafana-Bafana, per l’impegno profuso nel rappresentare il proprio Paese, ma soprattutto un leader di questa caratura, esempio per tutti di integrità personale, visione politica e senso dello Stato.

Se è vera la feroce battuta di un inglese, secondo cui l’Italia è, insieme al Sudafrica, l’unico paese africano abitato da bianchi, dov'è l'altro Mandela?

(7 luglio 2010)

 

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