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Dopo l'incidente di Ethiopian Airlines del 25 gennaio scorso a Beirut, sia la compagnia che il Ministero dei Trasporti etiope hanno duramente e a più riprese polemizzato (come Manuale di Volo ha documentato) con le autorità libanesi per le fughe di notizie e i ritardi nell'indagine.

A sei mesi da quell'incidente, nel quale trovarono la morte tutti i 90 occupanti dell'aereo, la LEBCAA libanese non ha ancora emesso nemmeno un rapporto preliminare, mentre voci non controllate hanno via via lasciato trapelare, smentito, corretto e riaffermato diverse ipotesi (tra cui l'attentato e l'imperizia dei piloti) sulle cause dell'incidente.

In effetti l'atteggiamento delle autorità libanesi lascia molto a desiderare, ma il lato ironico (se di ironia si può parlare quando sono in ballo le vite di decine di persone) della faccenda è che in questi giorni l'AAIB (Aeronautical Accident Investigation Branch) inglese ha a sua volta rivolto la stessa accusa nei confronti proprio delle autorità etiopi.

I fatti risalgono al 31 marzo del 2003, quando un Airbus A320 di British Mediterranean, nel corso di un avvicinamento notturno all'aeroporto di Addis Abeba, si trovò a sorvolare con un margine di appena 20 metri un rilievo montuoso situato una decina di chilometri a nord-ovest della pista.

Si trattava del secondo tentativo di atterraggio. Il primo, dopo aver notato strane oscillazioni sugli strumenti di bordo, in particolare sul VOR che era il radio aiuto sul quale la procedura di avvicinamento era basata, si era concluso con una riattaccata. Dopo aver provato inutilmente ad avere la conferma del funzionamento dell'impianto ILS, che avrebbe garantito una maggior precisione (e che secondo gli operatori di torre era in funzione, mentre l'equipaggio affermava di non ricevere il segnale) i piloti avevano deciso di effettuare un secondo avvicinamento VOR.

Durante questo tentativo, anch'esso caratterizzato da fluttuazioni e interruzione del segnale radio, a seguito dell'intervento dell'EGPWS (impianto che segnala la vicinanza del terreno), l'equipaggio decideva di riattaccare una seconda volta, per dirigersi all'aeroporto alternato di Gibuti.

La mattina successiva, in condizioni meteorologiche buone, il volo riusciva a raggiungere Addis Abeba e richiedeva di effettuare la stessa procedura della notte precedente, notando che i segnali radio erano assolutamente inattendibili e conducevano l'aereo a volare diverse miglia a nord rispetto alle traiettorie specificate sulle cartina, in una zona dove sono presenti rilievi montuosi importanti.

All'indagine scattata a seguito della segnalazione del comandante ha partecipato anche, vista la nazionalità dell'aereo, l'autorità inglese. In casi del genere però la responsabilità dell'emissione dei report ufficiali appartiene all'autorità di competenza territoriale, alla quale gli altri enti coinvolti nelle indagini inviano i loro contributi.

La decodifica delle scatole nere dell'aereo precipitato a Beirut, per esempio, è stata fatta in Francia, ma saranno le autorità libanesi (quando e se lo vorranno) a renderne noti i contenuti... e questo è all'origine delle proteste degli etiopi. Analogamente, toccherebbe proprio agli etiopi, ufficializzare i risultati delle indagini sull'incidente di Addis Abeba del 2003, cosa che non hanno ancora fatto.

In realtà gli investigatori inglesi fecero il loro lavoro di ricostruzione in tempi rapidi, ma il rapporto ufficiale etiope non è mai arrivato, costringendo l'AAIB a due passi abbastanza irrituali. Dopo aver pubblicato nel 2008 sul proprio sito il risultato della sua inchiesta ed avere atteso ancora da due anni che le autorità etiopi facessero la loro parte, l'AAIB ha oggi reso ufficiale quel rapporto, e le raccomandazioni di sicurezza che esso contiene, sostituendosi di fatto all'autorità competente per territorio.

La lettura del documento fornisce però una spiegazione abbastanza attendibile alla reticenza etiope: l'aereo inglese si è trovato a un passo dalla tragedia perché quella notte, con forte attività temporalesca in tutta la zona, importanti infiltrazioni d'acqua avevano compromesso il corretto funzionamento del VOR. Ed è stato appurato che l'infiltrazione derivava dall'errata procedura di manutenzione e dall'uso di parti non certificate. L'inoperatività del sistema automatico di monitoraggio e la mancata effettuazione dei controlli in volo che normalmente seguono le operazioni di manutenzione avevano impedito la rilevazione del malfunzionamento.

Tutte cose, dalla manutenzione ai successivi controlli, che ricadono sotto la responsabilità delle stesse autorità etiopi che ora accusano quelle libanesi di inadempienza.

La storia si ripete, dunque, e se il volo della British Mediterranean non si è concluso in una tragedia come quella di Beirut solo per l'esemplare professionalità messa in campo dal suo equipaggio, è impossibile non notare come in entrambe le situazioni le autorità che dovrebbero garantire la sicurezza del volo operino secondo standard che niente hanno a che vedere con quelli adottati in tutto il mondo aeronauticamente evoluto.

(10 luglio 2010)

 

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