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Il "cholo" aviatore

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Vi starete chiedendo che cosa è un "cholo" o, se lo sapete, cosa c’entri con noi. Il vocabolo, razzista e spregiativo, era usato inizialmente nel Perù colonizzato dagli spagnoli nei confronti dei meticci; persa nel tempo la sua connotazione negativa, oggi indica genericamente le genti peruviane.

L’uso frequente di questo termine tra compaesani, specialmente tra gli immigrati negli USA, lo ha trasformato in identificativo di ispanico o in generale di persona proveniente dal Sud America. Oggi negli States è usato tra le gang di giovinastri di origine latina quasi come titolo cavalleresco, e in questa accezione alcuni film lo hanno portato alla ribalta, consegnandolo ad una notorietà un po’ negativa.

“El Cholo” è stato addirittura il soprannome di un Presidente della Repubblica del Perù, Alejandro Toledo Manrique, di origine india, ed eletto a guidare il paese dal 2001 al 2006, superando di misura il candidato della sinistra Alan Garcia. Ma non è del presidente Toledo che vogliamo parlare, bensì di un altro Alejandro, suo eroico compatriota: Alejandro Velasco Astete sottotenente pilota della Forza Aerea Peruviana.

Abbiamo già trattato del valore che l’aviazione ha avuto come mezzo per l’integrazione di categorie discriminate, come i neri e le donne; ora parliamo dei “cholos”. Alejandro è per parte di madre (la famiglia Astete) legato all’origine spagnola dei colonizzatori della sua terra, ma sente vivissima l’appartenenza alla gente “quechua” (gli indios che vivono sugli altopiani peruviani, discendenti degli Incas), e vive proprio in quella che fu la capitale del mitico impero del sole, cioè Cuzco, incredibile città posta a 3.800 metri d’altezza, dove è  nato il 23 settembre 1897.

Al ritorno dalla sua partecipazione come volontario alla prima guerra mondiale entrò a far parte dei costituendi reparti di volo del Perù. Si brevettò pilota militare nel novembre del 1922 e, promosso sottotenente, divenne istruttore e fu assegnato al campo di Las Palmas nei pressi di Lima.

Iniziò a cullare l’idea di sollevare attenzione sulle sue genti effettuando una missione di volo straordinaria per l’epoca, collegare la costa pacifica del paese (ovvero la sua capitale Lima) con l’altipiano andino dove sorge l’antica capitale incaica (vale a dire Cuzco, sua terra natale), con un volo che avrebbe richiesto l’attraversamento della catena montuosa delle Ande, cosa mai tentata prima.

Naturalmente dovete immaginare un piccolo aereo di legno e tela senza strumenti di sorta e con al massimo qualche carta geografica del tutto approssimativa come unico ausilio: un’impresa ai limiti della follia. Il tentativo divenne più realizzabile quando la Forza Aerea del Perù si dotò di un velivolo italiano che tanto si era fatto apprezzare nella Prima Guerra Mondiale e in altri episodi rilevanti nelle imprese aeronautiche in tutto il mondo: si trattava di una macchina costruita dalla Società Velivoli Ansaldo, lo SVA- 5, il mitico aereo del raid su Vienna, un velivolo robusto ed affidabile di adeguata potenza ed autonomia.

Che l’impresa fosse rischiosa lo dimostrava anche la vicenda di un altro pioniere dell’aeronautica, anch'egli di origine peruviana: Jorge Antonio Chávez Dartnell, nato in Francia, dove i genitori (facoltosi banchieri) erano emigrati dopo la guerra col Cile.

Jorge, detto Geo, fu il primo pilota ad attraversare la catena montuosa delle Alpi il 23 settembre 1910 sorvolando il passo del Sempione con un fragile Blériot. XI Durante l’atterraggio a Domodossola però, a pochi metri dal suolo, le ali cedettero. Si suppone che la tragica fine del suo volo sia stata causata dalle sollecitazioni accumulate dal Blériot nelle turbolenze incontrate durante i due tentativi di sorvolo dei giorni precedenti, unite al carico sulla struttura alare determinato dalla rapida discesa verso Domodossola.

Ma torniamo al Tenente Velasco. Egli decise al fine di tentare il volo il 29 Agosto 1925. Decollò dal campo di Las Palmas di Lima e grazie al motore Spad da 220 cavalli che spingeva il suo SVA vinse la temuta “cordillera”. La missione non fu semplice, inizialmente dovette dirottare su Pisco a causa del maltempo, poi superando altezze di 16.000 piedi (5.300 metri ca.) e coprendo una distanza di più di mille chilometri riuscì a portare il suo Sva-5, battezzato per l’occasione “Cuzco”, dopo una navigazione di sei ore e venti minuti, verso la città imperiale degli incas. L’atterraggio avvenne presso il campo La Pólvora di Cuzco il 31 agosto 1925.

L’entusiasmo dei locali fu straordinario tanto che il valoroso aviatore decise di rivolgere il discorso di ringraziamento per i festeggiamenti in lingua quechua. Velasco Astete non fu solo protagonista di una importante prodezza ma sollevò col suo esempio l’autostima di tutti i meticci peruviani, “cholos” come lui. Bisogna immaginare all’epoca che la società di quel paese era dominata dai discendenti bianchi dei conquistadores che vivevano sulla costa e consideravano inferiori i nativi e i meticci, quindi il significato dell’impresa travalicò quello strettamente aeronautico causando un entusiasmo incontenibile sugli altopiani.

Il mese successivo, nel suo volo di ritorno a Lima, fu invitato a prendere terra anche a Puno sul lago Titicaca, dove la folla, impazzita di gioia, invase il campo d’atterraggio costringendo il pilota a due riattaccate disperate per non ferire qualcuno. Nel secondo tentativo, l'urto contro un muretto di recinzione distrusse l’aereo e gli provocò ferite mortali.

Terminava così, a soli 28 anni, l’avventura del prode Alejandro che però non fu mai dimenticato: un imponente monumento bronzeo e una strada lo ricordano nella sua città natale, anche a Lima gli è stata intitolata una strada ed il nome che porta l’aeroporto internazionale di Cuzco è proprio quello del tenente Velasco. All’interno dell’aerostazione c’è una vetrinetta con dei cimeli dell’aviatore come piccolo museo, invece una riproduzione dello SVA- 5 “Cuzco” fa da “gate guardian” nel museo aeronautico del Perù organizzato presso la base di Las Palmas, dove la sesta sala è dedicata al nostro eroe.

(20 agosto 2010)

 

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