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Due galli nel pollaio

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Si dice che il “fattore umano” sia la causa principale degli incidenti aerei. Vale a dire che l’interazione tra persone (siano essi piloti, controllori di volo, agenti di rampa, tecnici di manutenzione, etc.) comporta delle incomprensioni che causano degli incidenti.

Il pilota si deve confrontare con una serie di soggetti diversi, dal controllore del traffico aereo con cui parla via radio agli assistenti di volo che hanno delle aspettative diverse secondo la propria esperienza, dai passeggeri che si aspettano altre cose ancora al collega che ha accanto.

La politica delle compagnie aeree è tendenzialmente quella di non far volare troppo insieme due piloti, per alcune ovvie ragioni. Innanzitutto, già la parola cockpit, la cabina di pilotaggio, ci rivela, attraverso l’etimologia, ciò che avviene in uno spazio ristretto: un vero e proprio “combattimento di galli”.

Il pilota, benché selezionato per il suo equilibrio e buon giudizio, è comunque un istrione, un primo attore, che nel suo intimo pensa di essere molto più bravo di quello che si trova al suo fianco. E questa presunzione è inversamente proporzionale al numero di ore di volo che il pilota ha accumulato…

Se mettiamo due persone di questo tipo ad interagire senza regole, potremmo anche fare delle scommesse clandestine sull’esito del combattimento di galli... sempre che si riesca a fare atterrare l’aereo.

Il segreto è quello di far cambiare continuamente l’equipaggio, dotarlo di procedure il più possibile dettagliate, e incentivare il controllo reciproco. Vedremo che anche questa soluzione non è sufficiente, benché necessaria.

Due sconosciuti cooperano in un aereo che vola a 900 km orari e si devono scambiare ordini, comunicazioni, informazioni in un modo efficace, stringato, chiaro. Ecco dove risiede l’estrema importanza dello standard di compagnia, cioè di quelle norme che permettono di lavorare con uno sconosciuto, ottenendo, al primo colpo, una prestazione di alto livello.

Come si ottiene questo? Una delle più importanti chiavi di questa cooperazione efficace risiede nel processo addestrativo di ognuno, al termine del quale ciascuno sa cosa si deve aspettare dall’altro.

Un’altra delle ragioni di     questa elevata performance, con uno sconosciuto accanto, risiede nella comunicazione, che deve avvenire attraverso un linguaggio il più conciso e chiaro possibile per evitare l’inconveniente che capitò ad un aereo qualche anno fa.

Sorvolando una bella località di mare, il comandante, estasiato da tale vista esclamò: “oggi il tempo è bello!”. Il tecnico di volo, forse stanco, forse interpretando male per il rumore elevato della cabina di pilotaggio capì, per così dire, fischi per fiaschi, tirando giù il carrello di atterraggio.

Per questo si sono sviluppate nel tempo una serie di comunicazioni standard, codificate, che tendono a ridurre la possibilità di equivoci. Per fare questo, ci viene in aiuto la lingua inglese. Perché durante le fasi non impegnative del volo, grazie anche al pilota automatico che alleggerisce di molto il carico di lavoro, all’interno di un cockpit ci si abitua a conversare del più e del meno e si parla di tutto.

Poi, ad un certo punto, si danno degli ordini per muovere le superfici alari, per estrarre il carrello di atterraggio, oppure inserire delle frequenze sugli apparati radio che permettono l’avvicinamento all’aeroporto, etc. e deve essere sempre chiaro quando è che un pilota parla del più o del meno e quando invece sta dando un ordine.

Se so che la normale conversazione è in italiano e gli ordini in inglese, risulta più facile capirsi.

(1 settembre 2010)

 

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