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Attenti al turno

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Tra le distorsioni innescate dall’aumento di produttività e che hanno un riflesso diretto sulla nostra professione entrano in gioco anche i turni di volo, massacranti in termini di ore di volo e di ritmi di lavoro. Un'esperienza sconosciuta a chi ha terminato la propria carriera solo dieci anni fa.

Se il turno diventa un corso di sopravvivenza, poco rimane per l’affinamento continuo che il ruolo richiede.

Non solo: siamo proprio sicuri che si riescano ad affrontare le avarie e le emergenze alle quali siamo chiamati nelle sessioni di simulatore nel modo migliore anche nella realtà, dopo una giornata di volo, alla quarta o quinta tratta, con brutto tempo e un dirottamento dovuto ad avaria? Oppure dopo un volo di lungo raggio, al ritorno da un turno con sosta di poco più di 24 ore a Buenos Aires e 15 ore di volo alle spalle?

Dobbiamo, tra l’altro, considerare che questi ritmi di lavoro, già di per sé pesanti, si vanno a sommare a tutta una serie di innovazioni.

Il carico di lavoro dovuto all’interazione uomo-macchina, le quote e le latitudini a cui voliamo oggi ( molto più alte di quelle del passato), il motore a jet, che permette velocità di esecuzione doppie e triple rispetto agli aerei ad elica, con quote di molte migliaia di piedi superiore a quelli degli aerei ad elica, il volume considerevole del traffico aereo odierno, le frequenze radio congestionate, le soste ed i riposi tirati sino al limite fisiologico, contribuiscono non poco ad alterare la capacità di recupero del pilota e della sua aspettativa di vita complessiva.

Pensiamo ad esempio, all’atterraggio a Roma da parte di un equipaggio che proviene da Buenos Aires, dopo quindici ore di volo non stop. In passato, un volo da Buenos Aires si fermava qualche giorno all’isola del Sale, quindi questi voli non stop, in cui intervengono altri fattori come la disidratazione, l’esposizione prolungata ad i rumori, aumentando lo stress complessivo dell’equipaggio, non erano neanche lontanamente concepibili. Arrivato nei pressi di Roma, l’equipaggio degli anni ’70 (ed anche ’80) era numero uno all’avvicinamento già dall’isola d’Elba, senza avere da confrontarsi col traffico odierno.

Oggi, ci sono degli avvicinamenti a Roma, con tempo bello, dove ci si trova in seria difficoltà per atterrare a causa di frequenze congestionate, traffico caotico, distanze di separazione tra aerei talmente ridotte che è probabile una procedura di mancato avvicinamento perché l’aereo davanti a noi non è riuscito a liberare la pista.

Ci siamo chiesti come mai le compagnie aeree europee mandano così spesso a Roma i voli in cui si assegnano le funzioni di comando? Noi qui ci veniamo statisticamente almeno una volta al giorno per effettuare un avvicinamento che non è mai lo stesso del giorno prima.

Anche se abbiamo quattro piste di oltre 3000 metri, in una pianura dove il tempo prevalente è buono e tutte le piste sono servite da procedure strumentali, ci sarà pure la magagna... o no?

(7 novembre 2010)

 

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