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Chinatown

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Il Canada è uno dei paesi più grandi del mondo, ma ha una densità bassissima. È vero che gran parte del paese è inospitale, ma ci sono anche enormi distese che possono essere popolate. Saskatchewan, Manitoba e Alberta sono regioni bellissime, vere meraviglie naturalistiche, per lo più disabitate.

L’ultima regione occidentale è il British Columbia, un posto molto piacevole ed assolutamente vivibile, in cui si trova Vancouver.

Vancouver ospita la più grande Chinatown del Nord America, popolata da quasi un milione di cinesi. È stato molto sorprendente per me trovare i cartelli delle vie scritti in mandarino. All’entrata di Chinatown ci sono i classici due leoni, tutto ricorda un quartiere di Pechino o di Shangai, ma con meno inquinamento.

Quello che non si riesce a capire è come mai con tutto il Canada a disposizione, con milioni di ettari di superficie disabitata, i cinesi preferiscano prendersi a gomitate con una densità degna di Hong Kong. Evidentemente, il contatto umano rende più fertile il loro senso del commercio.

Comunque sia, feci moltissime fotografie. Quando tornai a casa, correva l’anno 1992, mostrai fiero le foto di questa cosa per noi sconosciuta, un agglomerato incomprensibile e folkloristico che suscitava la nostra ammirazione ed allo stesso tempo un sano sgomento per la prospettiva del lavoro che c'era dietro.

Mi chiesi come era possibile, per un canadese, accettare che le vie della propria città fossero scritte in cinese. È lì che cominciai un percorso di ricerca che mi ha portato ad indagare molti aspetti delle società multi-etniche, con la loro ricchezza ed i loro rischi. Si trattava di capire se fosse un fenomeno di tolleranza da parte di chi accoglie o di colonizzazione da parte di chi arriva in un Paese straniero.

In ogni caso,la particolarità delle comunità cinesi che ho osservato in giro per il mondo è di essere estremamente ossequiose delle leggi locali, di assoluto rispetto per le popolazioni indigene, quasi a volersi sforzare di apparire invisibili, pur conservando un fortissimo senso di comunità.

Fatto sta che dopo una decina di anni di viaggi intorno al mondo, fotografando tutte le Chinatown del mondo, mi trovai al centro di Roma, ignaro delle dinamiche demografiche del nuovo millennio nella mia città.

Attraversando piazza Vittorio, stracolma di negozi cinesi, mi sono ritrovato ad esclamare: “E mò che so tutti ‘sti cinesi?”. Dopo averle viste in tutte le zone del mondo, mi pareva strano trovarla a Roma.

Non ho riconosciuto la presenza di una Chinatown a Roma, solo perché mancavano i due leoni che ne indicavano l’entrata. Dato che sono molto superstiziosi, credevo che fosse una loro prerogativa culturale mettere i due simboli del Celeste Impero nel loro insediamento all’estero, ma poi ho riflettuto sul fatto che i cinesi hanno una grossa adattabilità alle regole locali.

Anche loro avranno capito che da noi regna il “fa un po’ come ti pare”.

(29 dicembre 2010)

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