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Non proprio come Hiroshima, ma...

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I viaggi aerei comportano un assorbimento di radiazioni ionizzanti più alto del normale. Anche i voli in zone lievemente contaminate, come può essere il Giappone di questi giorni, implicano una maggior esposizione all'irradiamento.

Ma quali danni alla salute può arrecare un così basso dosaggio di radiazioni ? E quali malattie si possono contrarre? E con quale probabilità?

Roentgen, scopritore dei raggi X, era inizialmente convinto che le radiazioni ionizzanti fossero totalmente innocue. Più tardi scoprì che una alta dose di irradiamento poteva causare un arrossamento della pelle e chiamò questa misurazione grossolana “dose da eritema”. Solo un anno più tardi un assistente di Edison, che stava studiando i raggi X, morì per un carcinoma della pelle. Edison fermò immediatamente le sue ricerche.

Per poter stimare un eventuale danno causato dalle radiazioni, oltre alla quantità di radiazione assorbita, è necessario considerare l’energia posseduta dalle singole particelle e il loro LET (Linear Energy Transfer), ovvero la capacità delle stesse di concentrare la loro energia in un determinato tratto di tessuto biologico. L’unità di misura di questi effetti è il Sievert (Sv).

E’ importante sottolineare che il Sievert (Sv), che abbiamo sentito spesso nominare in questi giorni per le fughe radioattive dalla centrale di Fukushima, non è una misura della radioattività, bensì dell’energia depositata dalle radiazioni nei tessuti viventi ovvero del danno che esse potrebbero arrecare ad un organismo.

Una persona normalmente “non esposta” ha un limite di assorbimento massimo di 1 milliSievert (mSv)/anno. In volo l’assorbimento delle radiazioni varia in base a quota, latitudine e attività solare, ma la National Academy of Sciences ha stabilito che l’assorbimento medio può essere quantificato in 0,01 mSv ogni 1600 km percorsi in volo.

Secondo la normativa vigente, il limite massimo di radiazioni consentito per un membro di equipaggio di volo è, in Europa, di 20 mSv (milliSievert) /anno, mentre negli Stati Uniti è 50 mSv/anno. Gli equipaggi risultano mediamente esposti a circa 3-4 mSv/anno.

Ciò che un così basso dosaggio distribuito nel tempo possa causare in termini di danni alla salute nel personale navigante non è stato ancora dimostrato, in quanto gli unici dati significativi fanno riferimento a popolazioni esposte a massicce dosi di radiazioni assolutamente non paragonabili (Hiroshima, Nagasaki, Chernobyl).

La quasi totalità degli studi sono stati effettuati sui ratti da laboratorio e non sugli esseri umani, in quanto un esperimento scientifico o studio di coorte che possa accertare un nesso causale tra la dose ricevuta e l’insorgenza di un danno specifico richiederebbe l’impiego di svariati milioni di soggetti volontari e avrebbe costi decisamente elevati, risultando in definitiva scarsamente percorribile.

Studi retrospettivi molto importanti sono invece stati condotti recentemente sui dati di morbosità e mortalità dei sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, rilasciati dal governo Giapponese per la prima volta solo nel 1997.

E’ certo che le radiazioni ionizzanti possono causare tumori, leucemie, disturbi a vari organi, in particolar modo alla tiroide, e problemi cardiovascolari. Si è notato però, con lo studio dei dati sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, che la frequenza con cui queste patologie si manifestano è proporzionale alla quantità e alla durata dell’esposizione, in modo lineare.

L’ipotesi della linearità senza soglia è stata quindi adottata internazionalmente, utilizzando un particolare modello matematico predittivo: il modello LN-T. Questo modello si fonda sul principio che la relazione dose-effetto segue un andamento lineare dalle dosi più alte a quelle più basse. In altre parole, la linearità implica che dosi diverse di radiazione provocano il medesimo tipo di patologia e quello che cambia è soltanto la frequenza con cui tale malattia si manifesta all’interno della popolazione esposta alla radiazione. Per esempio, con una esposizione lavorativa di 10 mSv/anno, considerando una attività professionale di 30 anni, si calcola che le probabilità di ammalarsi di tumore passano dal 20% della popolazione generale a circa il 21,3%, per i lavoratori professionalmente esposti.

E’ anche possibile che a dosi molto basse non si produca alcun effetto, ma, in assenza di prove che possano confermare tale evenienza, si preferisce utilizzare i risultati forniti dall’ipotesi della linearità.

Non proprio come Hiroshima, ma...

(31 marzo 2011)

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