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Io volevo fare il portiere

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I ragazzi di oggi vengono accompagnati dai genitori “a fare calcio”, ai miei tempi invece si scendeva in strada a “giocare a pallone”, e siccome non c'erano istruttori, tecnici e allenatori la distribuzione dei ruoli in campo seguiva criteri empirici: i bravi all'attacco e gli scarsi in difesa.

In porta invece finivano due categorie di persone: quelli troppo scarsi anche per giocare in difesa (ma spesso proprietari del pallone, e quindi bisognava pur farli giocare) e quelli che invece “volevano” fare il portiere.

Io volevo fare il portiere.

Mi piaceva il ruolo un po' matto di chi si tuffa tra le gambe degli avversari per rimediare agli errori altrui. Mi piaceva quella solitudine sottolineata anche dal diverso colore della maglietta. Mi piaceva la totale assunzione di responsabilità che accompagna un calcio di rigore.

Perché, alla fin fine, tutto dipende comunque da te: il tuo attaccante sbaglia il cross, sul rilancio dei difensori il centrocampista salta fuori tempo, il terzino cicca ignobilmente il pallone, il difensore centrale lascia un corridoio che pare una pista di atterraggio... e proprio lì si infila il centravanti avversario, e mentre cerchi affannosamente di recuperare il piazzamento non lo perdi d'occhio un momento, cercando di intuire dove piazzerà il tiro. E ci riesci, ti butti dalla parte giusta, alla palla ci arrivi: una splendida parata... solo che piove, il pallone è viscido e pesante e ti scivola tra le mani per rotolare beffardamente in rete: una papera indegna.

E la tua responsabilità non la puoi più scaricare su nessuno, perché dietro di te c'è solo la linea di porta: una parata pone rimedio a tutti gli errori altrui facendo di te un eroe, una papera scarica sulle tue spalle tutta la responsabilità del gol subito.

E così, tra i pochi versi che nella mia carriera di studente ero riuscito a mandare a memoria, c'erano quelli che Umberto Saba aveva dedicato a un portiere battuto.

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce...


Poi sono cresciuto, e siccome avevo più entusiasmo che talento ho lasciato il pallone tra i ricordi di gioventù, però il portiere ho continuato a farlo... nel cockpit di un aereo.

Perché quando la catena degli eventi (che è all'origine di ogni incidente aeronautico) ha perfidamente allineato tutti i suoi anelli e la situazione si fa veramente critica, allora è il momento di tirare fuori tutte le tue conoscenze, tutta la tua esperienza, tutto il tuo talento e, perché no, quel pizzico di improvvisazione e di intuito che ti consentiranno di sfoderare la parata “miracolosa” e riportare tutti a casa.

E se non ci riesci, salterà senz'altro fuori qualcuno a dire che “è tutta colpa dei piloti”... i piloti sono i portieri dell'aviazione commerciale.

(21 aprile 2011)

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