Il muro - I

Scritto da Dario Romagnoli

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I - In occasione dell’anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino (9 novembre 1989), desidero raccontarvi il mio personale rapporto con il "Muro", per come l’ho vissuto a partire da quando, sul finire degli anni ‘70, ero primo ufficiale della compagnia di bandiera.


Imbarcato sul Boeing 727, ero pieno di curiosità su tutto quello che, pur avendone letto o fantasticato da ragazzo, avevo finalmente la possibilità di toccare con mano. Circostanza che mi veniva dal mio lavoro che mi aveva consentito, ancora giovanissimo, di accumulare esperienze inusuali e di visitare moltissimi luoghi in tutti i continenti.

Il mio turno di servizio del 26 novembre 1979 prevedeva la partenza da Roma con destinazione finale Amburgo, dopo aver effettuato scali a Milano e Colonia. L’avvicendamento (così si chiama il turno di volo assegnato al medesimo equipaggio per più giorni), prevedeva una sosta di riposo nella città anseatica, per poi rientrare a Roma.

Ricorderete che in quegli anni il confronto fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti era molto acceso e i due "blocchi", quello occidentale e quello orientale, non si risparmiavano nel cercare l’uno di prevalere sull’altro. Tutto era consentito nella guerra fredda, così definita perché non apertamente guerreggiata, non da meno combattuta con tutti i mezzi a disposizione: agenti segreti, propaganda, economia e addirittura lo sport.

Il campo su cui spesso i due blocchi si confrontavano era il suolo tedesco. Alla fine della II Guerra Mondiale la Germania era rimasta vittima nella disputa sorta subito dopo (secondo alcuni anche prima) la fine della guerra. Le due potenze vincitrici USA e URSS, si erano spartite il Paese, ponendo il confine in coincidenza dei territori che i loro eserciti avanzanti da Est e da Ovest,vittoriosi sulla Wehrmacht, avevano occupato.

Gli Stati Uniti, mi sembra nel 1949, avevano rinunciato alla loro zona d’occupazione passandone l’amministrazione alla neonata BRD, Repubblica Federale Tedesca. L’URSS, per tutta risposta aveva consentito (e favorito) nella sua zona d’occupazione, la nascita della DDR, Repubblica Democratica Tedesca, il cui motto, tanto per essere chiari e non nutrire dubbi sulla loro collocazione politica, era Proletarier aller Länder, vereinigt euch! (Lavoratori di tutto il mondo unitevi !).

Berlino che si trovava all’interno dell’area d’occupazione sovietica ma che ospitava simbolicamente anche le forze d’occupazione alleate, venne spartita in quattro zone: sovietica, americana, inglese e francese. Il 13 agosto del 1961 la DDR, per interrompere l’emorragia di tedeschi dell’Est che passavano ad Ovest, attratti dalle migliori condizioni di vita, decise di erigere a Berlino un muro fortificato per impedire altre fughe: il "Muro". Era calata, come ebbe a dire profeticamente Winston Churchill , una "cortina di ferro" sulla martoriata città di Berlino, che l’avrebbe divisa, per molti anni.

Scusate la lunga premessa, ma queste erano le mie considerazioni quando, quel giorno di novembre, trovandomi ad Amburgo, decisi di preferire una gita a Berlino piuttosto che farmi attrarre dai rinomati e malfamati locali del quartiere a luci rosse della Reeperbahn di St Pauli.

Secondo un certo passaparola fra gli equipaggi, in quella zona della città portuale si trovava un locale, il nome mi sembra fosse "La chatte noir", in cui si esibivano simpatiche fanciulle, fra queste, l’attrazione principale era una "star" che riusciva, penso con un severo allenamento dei muscoli pettorali, a far roteare i seni sia in senso orario che anti-orario e (miracolo) anche in senso controrotante gli uni dagli altri (quando si dice il talento!), il tutto con grande divertimento degli spettatori che guardavano con ammirazione la curiosa prestazione arricchita da due maliziose nappine che attaccate all’unico appiglio possibile, esaltavano lo spettacolo, per così dire, rotatorio.

A questo proposito, devo, aprire una parentesi. La Germania, come tutti i paesi europei minimamente evoluti, era molto più tollerante nei confronti del sesso di quanto fosse l’Italia preda nel dopoguerra di Democrazia Cristiana, Azione Cattolica, beghine e sepolcri imbiancati vari. Vi erano ovviamente delle variazioni sul tema: ad esempio in Inghilterra era permesso lo spogliarello ma le ragazze una volta nature, dovevano restare immobili (il divertimento era quello di creare dei diversivi per farle muovere; loro stavano al gioco e si muovevano). In Francia invece, la tradizione aveva trasformato lo spogliarello in un grande spettacolo artistico e gli italiani si affollavano numerosi nei locali di Pigalle e degli Champs Elysees. In Germania, diciamolo pure, in assonanza con il concreto carattere nazionale gli spettacoli andavano al sodo senza tanti complimenti né tanti sensi di colpa.

Il giorno dopo al mio arrivo, non senza un certo sacrificio (se non obbligato, la mia natura mi porta a svegliarmi con comodo), andai alla stazione per prendere un treno che mi avrebbe portato a Berlino. Inutile dire che il treno partì perfettamente in orario. Immerso nei miei pensieri e con ancora vivo il ricordo della frase pronunciata da Kennedy, "Ich bin ein berliner" , mi trovai a passare il confine tra la BRD e la DDR.

Il treno si fermò solo pochi secondi alla stazione di confine. Il capo-stazione, (una bellissima ragazza con i capelli biondi lunghi, mossi dal vento) immobile sull’attenti, sotto una pioggerella ghiacciata, presenziava al passaggio del convoglio. A distanza di anni, vedendo il film "Le vite degli altri" ho poi capito il silenzio che regnava in quel vagone ferroviario. Nessuno si fidava di nessuno e la cosa migliore era tenere la bocca tappata! Sul treno due vopos (Volks Polizei) di frontiera mi stampigliarono sul passaporto i timbri di transito dopo avermi scrutato attentamente.

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Qualche tempo dopo finalmente entrammo a Berlino: la stazione che mi sembrò assai piccola era la stazione dello zoo di Berlino. Mi trovavo nel principale luogo d’aggregazione dei giovani berlinesi, raccontato poi magistralmente dal regista Uli Edel nel film Wir Kinder vom Bahnhof Zoo,(Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino): luogo d’aggregazione ma anche di frustrazioni di una gioventù che era prigioniera in una città dimezzata e circondata da tutti i lati da un regime oppressivo ed opprimente, e su cui incombeva un futuro incerto. (continua)

(9 novembre 2016)