Il muro - III

Scritto da Dario Romagnoli

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III – (segue) In quel giorno di novembre del 1989, ero anche io davanti alla televisione per assistere ad un avvenimento che tutti percepivamo come storico. I berlinesi dell’est e dell’ovest erano nuovamente uniti, si abbracciavano e baciavano stando a cavalcioni del Muro.


Il regime comunista era in dissolvimento sotto la spinta della Storia! L’atmosfera era di gioia immensa, ciò che sembrava impossibile, stava accadendo sotto i nostri occhi!

Era mio ospite, neanche farlo a posta, un amico, accompagnato dalla giovane moglie, una discreta bionda con occhi azzurri dal look decisamente straniero. La ragazza si ostinava a portare anche d’inverno scarpe bianche col tacco altissimo che in Italia non avrebbero indossato neanche il giorno del matrimonio.

I due si erano conosciuti durante una visita turistica che lui, fervente comunista, aveva fatto nella DDR. Grazie alle timide aperture alla democrazia e alla libertà che anche i regimi comunisti più intransigenti erano stati costretti a concedere sotto le pressioni dell’opinione pubblica, i giovani si erano frequentati e sposati. Lei aveva poi ottenuto il permesso di lasciare la DDR.

Suo padre era un vopo, le temibili guardie di frontiera della DDR ”Però lui ha fatto sempre servizio sul confine polacco” teneva lei a precisare con un certo mio imbarazzo al pensiero di ciò che il messaggio voleva intendere (fra Polonia e Germania Orientale non c’erano fughe perché entrambi i Paesi stavano nella stessa barca, perciò “Mio padre non si è macchiato di omicidi”).

La cosa strana, nell’atmosfera di eccitazione, stupore e gioia che si era creata fra noi, quella sera, di fronte alla televisione che trasmetteva scene di gente che si abbracciava, brindava o pigliava a picconate il Muro, sotto gli occhi impotenti della polizia tedesco orientale, era che sia la tedesca che il mio amico commentavano gli avvenimenti in senso negativo.

Il loro “piccolo mondo ” stava crollando e le espressioni di rimpianto si susseguivano: “Noi avevamo il lavoro assicurato”, “Il Partito (ovviamente quello comunista) organizzava le vacanze a tutti”, “’L’assistenza sanitaria è gratuita”.

Poi capii. Il loro rimpianto era dovuto al fatto che prima erano una particolare coppia esempio dell’amicizia fra i “Popoli” (amore trionfa) e oggetto di curiosità. Da allora in poi, sarebbero stati solo marito e moglie come ce ne sono tanti, lui italiano, lei tedesca. Tanto per dovere di cronaca, venni a sapere qualche tempo dopo che il matrimonio non aveva funzionato, e i due si erano separati.

Ma la storia non finisce qui, perché le circostanze vollero che undici anni dalla mia prima “visita” a Berlino Est, ormai comandante di MD 80, ricevessi una telefonata dal Capopilota: “Domani ti è stato assegnato il volo Roma- Berlino, avrai l’onore di comandare il primo aereo italiano che atterra a Berlino dalla fine della guerra.”

In effetti il trattato di pace fra la Germania e le potenze vincitrici, consentiva solo alle loro linee aeree di effettuare cabotaggio ed utilizzare gli aeroporti di Tegel e Shonefeld. Ora, i repentini mutamenti politici, avevano reso inaspettatamente possibile effettuare collegamenti anche a compagnie aeree, come quella per cui volavo, appartenenti a nazioni “non-vincitrici”.

Fu così che il 27 ottobre del 1990 alle 19.30 precise, posai le ruote del carrello d’atterraggio del mio MD-80 “Aosta” sulla pista dell’aeroporto Berlin-Tegel, accolto da una banda musicale e da alcune personalità municipali.

Di quei giorni ho ancora ben presente due cose: una, la calorosa accoglienza ed il pelouche che regalarono a tutto l’equipaggio per ricordare l’evento, un orsetto simbolo della città. L’altro ricordo, l’alito pestilenziale di una anziana impiegata est-berlinese che ci accompagnava attraverso l’aeroporto per il disbrigo delle formalità di frontiera. Un dubbio allora mi assalì: costei aveva mantenuto, diciamo così, abitudini alimentari basate sul noto tubero o era in cura aiurvedica per l’ ipertensione?

Ventidue anni dopo esserci atterrato con il mio aereo (“mio” si fa per dire), mi sono trovato nuovamente a Berlino. Uno di quei viaggi che, almeno per me sono una boccata d’ossigeno. In un posto, fermo più di tanto, io non ci riesco a stare.

Mentre con mia moglie andavamo verso la Unter der Linden Strasse, la via rutilante di luci, negozi, grandi magazzini della opulenta Berlino, divenuta nuovamente capitale della ricca e riunificata Germania, mi sono imbattuto inaspettatamente nel Ck Point Charlie.

Adesso è ridotto ad una sorta di quinta teatrale, dove alcuni ragazzi di colore (forse nipoti di qualche G.I. dell’Alabama in libera uscita e di qualche romantica fraulein berlinese), vestiti da soldati americani, si fanno fotografare a pagamento, in atteggiamenti di circostanza (a seconda dei desiderata). In fondo in tempi di crisi, tutti i modi sono buoni per racimolare, un po’ di spiccioli. “Quel” Ck Point Charlie, usato per una recita ad uso di turisti in cerca di memorie!

Vicino, su di un banchetto, si vendevano pezzetti di “Muro”, garantiti originali. Non potevo crederci. Eppure là, sul confine fra BDR e DDR, erano passate spie, si erano riunite famiglie o straziato corpi di fuggitivi, forse tante fra le persone che in quel momento stavamo incrociando, erano state protagoniste volontarie o inconsapevoli di una pagina fra le più buie della recente storia europea. Ma che serve ricordare? Nessuno ha le mani così pulite da avere interesse a rivangare il passato.

Sapete, molti anni fa, non ci crederete, a Berlino …

(23 novembre 2016)