Groviera e incidenti

Scritto da Antonio Chialastri

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Negli anni ’60, sotto la spinta di nuovi modi di pensare i modelli lineari vengono sostituiti da quelli sistemici, che prendono in considerazione i rapporti tra le varie componenti di un sistema e indagano anche su livelli non direttamente coinvolti nelle dinamiche incidentali.

Gli approcci alla persona si sono dimostrati storicamente insufficienti a porre rimedio alle cause di incidente e la dimostrazione pratica è che la rimozione della famosa “mela marcia”, quella che-ha-commesso-l’errore, non evita che quella tipologia di errore capiti di nuovo, e nulla aggiunge al livello di sicurezza globale dell’industria aeronautica.

Si comincia dunque a parlare di pensiero sistemico, e l’enfasi e il punto di osservazione passano dall’individuo all’organizzazione. Si iniziano quindi a studiare le organizzazioni nel profondo, per cercare di individuare delle costanti su cui lavorare al fine di prevenire altri incidenti.

Nascono così i modelli organizzativi che troveranno la loro compiutezza con il paradigma proposto da Reason: esistono livelli diversi di operazione in cui ogni barriera difensiva contro l’errore presenta delle falle, e dall’allineamento delle falle presenti in ogni barriera difensiva può scaturire l’incidente.

Ma vediamo in particolare il sistema di James Reason.

Egli propose un modello chiamato Swiss Cheese Model (modello Groviera) in cui si concepisce l’incidente non come frutto dell’errore di un singolo, ma come lo scatenarsi di conseguenze innescate da un’azione finale, che si inseriscono ed si amplificano dei presupposti di sistema già in attesa di esplodere.

Ogni organizzazione predispone una serie di difese contro l’errore a qualsiasi livello, sia esso politico, manageriale, operativo, procedurale, etc. quindi, l’errore che origina in qualche punto del sistema viene di solito intercettato dalle barriere protettive.

Ma in ogni barriera difensiva esistono delle lacune. che rappresentano i buchi del nostro groviera, e in alcuni casi, data la natura fallace di tutte le barriere, può capitare che si allineino tutti i buchi facendo passare l’errore attraverso tutti i filtri fino ad arrivare all’incidente.

C'è tuttavia un limite evidente relativo allo Swiss Cheese Model: la considerazione della natura dell’errore, che è rappresentato come un buco, una perturbazione del sistema. Parlare di buchi significa pensare all’errore come un fatto ben individuabile, misurabile, controllabile, eventualmente anche rimediabile.

Questo e altri modelli sistemici risentono dunque ancora di un’impostazione che vede l’errore come un qualcosa di sostanziale, di reale, di diverso da ciò che si osserva nelle situazioni routinarie.

Questa concezione verrà superata, come vedremo, dai modelli complessi, che identificano nell’incidente un evento riguardante in modo particolare i legami tra le varie componenti del sistema, vincolate le une alle altre in rapporti spesso blindati da procedure codificate, esigenze di bilancio e richieste del panorama economico e politico.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(10 ottobre 2011)