No blame culture

Scritto da Pietro Pallini

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La “cultura del riporto”, della quale ci siamo recentemente occupati, è uno degli strumenti più efficaci che, nella sua continua ricerca di sicurezza, l'aviazione (commerciale e non) si è dato. Se correttamente sviluppata, permette di trasformare ogni errore in un'occasione di crescita.

Ma perché essa possa dispiegare pienamente tutti i suoi effetti benefici, bisogna fare in modo che l'ammissione (sollecitata o meno) di eventuali errori non procuri un danno a chi quelle colpe ha ammesso. E' quella che gli americani chiamano no blame culture, ovverosia, la “cultura della non colpevolezza”.

I safety report, come abbiamo già detto, possono essere compilati anche in forma anonima, e questo in molte circostanze serve a stabilire una condizione di partenza favorevole, ma ci sono anche situazioni in cui l'anonimato è di fatto impossibile.

In compagnie particolarmente piccole, o in settori specifici di grandi compagnie che si trovano a impiegare pochi aerei (e quindi anche pochi piloti) tutti conoscono tutti, e non è poi così difficile associare un rapporto anonimo a una data, un numero di volo, un nome.

E poi ci sono tutta una serie di eventi per i quali la compilazione del “rapporto di sicurezza” è resa obbligatoria per legge, e tra tutti questi eventi ci sono sì quelli di origine tecnica, ma anche quelli che, pur non essendo legati a un guasto o a un'avaria, hanno pur sempre causato irregolarità operative.

L'anonimato teoricamente garantito dai moduli di safety report è dunque spesso disatteso nella pratica. Ed è qui che entra in gioco la nostra no blame culture, vale a dire una politica che, messa in atto da operatori ed enti di controllo e regolamentazione, sia capace di instaurare un clima di reciproca fiducia e collaborazione.

Laddove infatti si lavora a cercare cause piuttosto che colpevoli, anche il personale direttamente coinvolto in un incidente non avrà alcun interesse ad assumere atteggiamenti di copertura nei confronti di piccoli o grandi errori che possa avere commesso nell'espletamento delle proprie funzioni.

Il discorso cambia però di fronte ad un eventuale inchiesta giudiziaria: il magistrato cerca infatti un colpevole, e le compagnie e gli enti sono tenuti a mettere a sua disposizione tutte le notizie di cui dispongono. Ogni piccola deviazione dalla norma, così come è scritta sui manuali, corre così il rischio di essere interpretata come una diretta responsabilità sull'accaduto, e purtroppo la realtà di tutti i giorni, in un mondo ad alta complessità e variabilità come l'aviazione commerciale, è fatta appunto di piccoli aggiustamenti e deviazioni dalla norma.

Sono i rischi di una “giudiziarizzazione” (mi si passi l'orrendo neologismo) crescente, con la quale si trovano a fare i conti anche altri settori, tra i quali segnatamente quello medico.

Ma la nostra “cultura del riporto” è oggi minacciata da un pericolo nuovo, che nasce dalle profonde variazioni subite negli ultimi anni dal mercato del lavoro. Quello che fino a pochi anni fa era praticamente impensabile, l'impiego di piloti con contratto a tempo determinato, è oggi pratica corrente. E non sono solo le compagnie low cost ad applicarlo, ma anche molte regionali che assicurano collegamenti per le major, e addirittura alcune compagnie di bandiera.

Se, come abbiamo appena detto, l'anonimato teoricamente garantito da un safety report è, appunto, molto spesso solo teorico, quanti saranno disposti a confessare i loro errori con la prospettiva di rischiare il posto di lavoro? e quanti altri, viceversa, preferiranno tacere e vedersi prorogato il contratto per altri sei mesi?

Se volete una risposta a queste due domande, andatevi a leggere un vecchio articolo di ManualeDiVolo, dove si racconta di un pilota che, nel timore di non vedersi rinnovato il contratto, aveva taciuto al proprio datore di lavoro una condizione psicologica che mal si conciliava con l'esercizio del volo.

(25 aprile 2012)