Ce n'est pas possible...

Scritto da Pietro Pallini

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Forse la risposta che in questo ultimo anno gli investigatori del BEA francese sono andati cercando nei dati contenuti nelle scatole nere del volo AF 447, quella che spiega non solo il come, ma soprattutto il perché, di 228 morti era già stata data quasi vent'anni fa.

Ce n'est pas possible...”, non è possibile: questa la replica che, con tono leggermente infastidito, un ingegnere (non un pilota), oppose alla domanda di un pilota di linea italiano durante una presentazione dell'allora ultimo nato in casa Airbus, il rivoluzionario A-320.

L'ingegnere in questione, come racconta in un forum di addetti ai lavori il pilota, stava spiegando che il sistema era in grado di identificare quale dei tre sistemi fosse in avaria facendo il confronto tra i tre dati e prendendo in considerazione i due con output simili. “E cosa succede se due sistemi vanno in avaria e offrono al computer due serie di dati simili, ma sbagliati?”, fu la domanda liquidata glacialmente dall'ingegnere.

Sull'A-330 (che dell'A-320 condivide la filosofia ingegneristica) precipitato nell'Oceano Atlantico, i sistemi in avaria erano tre...

Ce n'est pas possible...”, questo è quello che si sono detti evidentemente anche i piloti, e il rapporto definitivo d'inchiesta, presentato alla stampa un paio di settimane fa su questo punto è estremamente chiaro: i due non hanno mai realizzato di essere in una situazione (quella di stallo) che, in virtù delle molteplici protezioni elettroniche dell'inviluppo di volo, è generalmente ritenuta impossibile da verificarsi su un areo del genere.

Ce n'est pas possible...”, questo si sono detti per anni anche i responsabili dei programmi di addestramento, che non hanno mai elaborato programmi di studio e scenari di simulazione capaci di riprodurre adeguatamente un'eventualità del genere.

Ce n'est pas possible...”, questo si devono essere detti anche gli addetti alla manutenzione, che a fronte di diversi inconvenienti legati al ghiacciamento delle famose sonde di Pitot, non sono intervenuti tempestivamente per sostituirle con modelli più affidabili. Senza contare che solo a incidente avvenuto è stata emessa una raccomandazione di sicurezza tesa a promuovere studi più approfonditi sulle possibilità di formazione di ghiaccio a quote e temperature generalmente considerate immuni (o quasi) da fenomeni violenti e improvvisi come quello che si è verificato nella notte del 1° giugno 2009.

Quello che emerge con cruda chiarezza dalla lettura delle 224 pagine del rapporto, è che gli sfortunati piloti del volo AF 447 si sono inaspettatamente trovati nel bel mezzo di una situazione che ritenevano impossibile, per la quale avevano ricevuto un addestramento sommario e poco realistico, e che li ha sottoposti, nel giro di una novantina di secondi, a una girandola di avvisi di allarme che ha finito col disorientarli completamente.

Preso di sorpresa da un evento “impossibile”, il pilota che in quel momento era ai comandi, il cosiddetto PF (Pilot Flying), ha reagito con troppa decisione a quella che ha interpretato come una perdita di quota. La continua sparizione e riapparizione dei dati di volo riportati sugli strumenti e la rapida successione di allarmi di vario genere, in una situazione di altissimo stress, ha di fatto impedito ai due di condurre un'analisi adeguata. Ad aggravare il tutto, il fatto che si trattasse di un equipaggio definito “non omogeneo”, ossia composto da due copiloti dei quali uno, proprio quello che aveva in mano i comandi, era il meno esperto.

“Reazioni inappropriate dei piloti...”, questo lo stralcio di inchiesta più largamente citato dai media generalisti, che ripetono come un mantra la formuletta secondo la quale “il riconoscimento e l'uscita  dallo stallo fanno parte del bagaglio professionale di ogni pilota”.

Tanta superficialità è come minimo sconcertante: i fattori in gioco sono molteplici e taluni di essi, che in questo articolo non ho neppure sfiorato, meritano (e lo avranno) un ulteriore approfondimento. In gioco ci sono spunti che spaziano dall'addestramento all'ergonomia, dalla gestione del carburante al CRM, dai criteri di progettazione a quelli di certificazione, e ci torneremo sopra.

Ciò che in prima analisi ci  preme sottolineare è quello che il Bureau d'Enquêtes et d'Analyses (BEA) pour la Sécurité de l'Aviation Civile non è riuscito a dire chiaramente nelle 224 pagine del rapporto, ma che è evidente a tutti i piloti di una certa esperienza: per capire cos'è successo in quei 60-90 secondi cruciali (il resto del tempo residuo era ormai inutile), fior di investigatori, comodamente seduti in poltrona e armati di registrazioni e del provvidenziale senno di poi, ci hanno messo più di un anno.

È mancata loro l'umiltà di ammettere che effettivamente 60-90 secondi, con le informazioni disponibili sulla scena dell'incidente, tenendo conto della complessità dell'interazione con computer che lavorano secondo logiche in gran parte sconosciute ai piloti e dell'addestramento da questi ricevuto, non erano umanamente sufficienti per capire e reagire correttamente.

Purtroppo, non hanno "indovinato" il da farsi...

(25 luglio 2012)