Case study: Guantanamo Bay

Scritto da Antonio Chialastri

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Il 18 agosto 1993, un aereo DC-8 cargo della American International Airways si schiantò nei pressi di Guantanamo Bay durante le manovre di avvicinamento per l'atterraggio. I tre membri di equipaggio furono gravemente feriti, mentre l’aereo andò completamente distrutto.


Il DC-8 era all'ultima tratta di una lunga giornata di volo, ormai in fase di avvicinamento finale, manovra che contemplava una virata stretta, a ridosso della pista, tenendo in vista una strobe light, una luce stroboscopica intermittente che indicava la soglia della pista stessa.

Quel giorno la strobe light (una delle luci che servono a identificare correttamente la pista) era inoperativa, ma l’inefficienza non fu comunicata all’equipaggio. Nel tentativo di acquisire i riferimenti visivi durante la virata finale, il comandante inclinò le ali eccessivamente; la velocità decrebbe sotto il minimo e l’aereo stallò, precipitando qualche miglio prima della pista.

L’incidente accadde alla quinta tratta, dopo diciotto ore di servizio e, rispettivamente, diciannove ore di veglia per il primo ufficiale e ventitré ore per il comandante. L’equipaggio era perfettamente addestrato, coscienzioso, e desideroso di portare a termine la propria missione.

Perché continuò oltre ogni ragionevole limite? Perché spinse il proprio operato oltre le risorse disponibili a bordo? Fortunatamente, la loro sopravvivenza ha permesso agli investigatori di intervistare lungamente ed in modo approfondito i piloti, che hanno così avuto modo di descrivere le proprie sensazioni nei minuti finali del volo, quando la stanchezza impediva loro di rendersi conto che erano stanchi.

Da parte dell’NTSB, la causa primaria dell’incidente fu attribuita alla stanchezza. Il fatto eclatante fu che l’NTSB (National Transportation Safety Board, ente sicurezza incaricato di investigare le cause di incidente negli Stati Uniti) criticò per la prima volta le norme e non il comportamento specifico dell’equipaggio.

La dinamica dell’incidente si può catalogare come loss of control, cioè la perdita di controllo dovuta ad un angolo di inclinazione eccessivo, che ha portato allo stallo e di conseguenza all’impatto con il suolo, prima della pista.

A seguito dell’intervista il comandante spiegò il suo stato d’animo come letargico o indifferente, dichiarando di non notare diversi indicatori primari di volo che di solito monitorava agevolmente. Dalle sue parole: “E’ veramente frustrante e sconcertante, quando arriva notte, sdraiarsi e pensare come sia potuto capitare tutto ciò, nonostante tutta la serie di avvisi che arrivavano e di come le cose siano potute andare in quel modo”. Ciò ci impone una prima riflessione: la stanchezza ci rende incapaci di capire che siamo stanchi.

Dalle dichiarazioni del primo ufficiale, invece, si intuisce che la sua stanchezza si manifestò attraverso euforia e iperattività mentale. Quindi, seconda riflessione, la stanchezza si palesa in una serie di modi che variano da soggetto a soggetto, come gli effetti dell’alcol, seguendo quello che i Romani condensavano nella massima in vino veritas.

In un bel libro, The limits of expertise, edito da Ashgate nel 2008, gli autori rimarcano come, in questo particolare incidente, i piloti non scelsero di volare affaticati, ma furono indotti da una serie di concause, tra le quali la cultura organizzativa nella quale erano immersi, che li spinse ad accettare livelli di rischio che non avrebbero accettato spontaneamente.

Significativa, a questo proposito, l’intervista rilasciata dal manager di questa compagnia a seguito dell’incidente: “Noi lavoravamo per sfruttare ogni possibilità, lavorando sempre ai limiti concessi dalle regole federali”. La conclusione della commissione di inchiesta relativa a questo incidente è stata ben condensata dalla seguente riflessione: “how much is too much?

Domanda che, a distanza di quasi vent'anni, è lecito porsi anche di fronte alle proposte sui limiti d'impiego dei piloti di linea delineate nelle nuove regole FTL (Flight Time Limitations) allo studio in Europa. Perché quanto avvenuto a Guantanamo Bay dimostra che a forza di programmare turni al limite, magari anche sfruttando deroghe disinvoltamente concesse, metterà forse in regola la compagnia, ma senz'altro non contribuisce alla sicurezza del volo.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(22 settembre 2012)