Libia, due anni dopo...

Scritto da Pietro Pallini

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...anzi, ad essere precisi, due anni mezzo. Tanto tempo ci è voluto perché l'ente per la sicurezza del volo libico emettesse il primo rapporto preliminare sull'incidente del'Airbus A-330 Afriqiyah 771, avvenuto all'alba del 12 maggio 2010 sull'aeroporto di Tripoli.


A darne notizia, in forma indiretta, è stato qualche settimana fa l'ente per la sicurezza dei trasporti (e quindi anche del volo) olandese, che all'indomani dell'incidente aveva inviato un suo team di esperti in Libia. Il meccanismo delle inchieste sugli incidenti aeronautici prevede infatti che le investigazioni siano condotte dall'autorità di sicurezza del paese dove l'evento si è verificato, ma la partecipazione è spesso allargata anche ad altri soggetti.

E' normale, per esempio, che venga inviato un team da parte dei paesi produttori dell'aereo e/o dei suoi motori, oppure , nel caso di voli internazionali, che i paesi che del volo erano origine e/o destinazione finale chiedano di partecipare alle indagini. In questo caso, la presenza degli olandesi era giustificata dal fatto che la maggior parte dei presenti a bordo (tutti deceduti, tranne un ragazzo di 10 anni) erano appunto di nazionalità olandese e avrebbero dovuto proseguire il loro volo verso Amsterdam.

Ebbene, a più di due anni dall'incidente, la Libyan Civil Aviation Authority (LCAA) ha trasmesso al suo omologo olandese il rapporto preliminare sull'incidente, e la Onderzoeksraad Voor Veiligheid (OVV) dal canto suo ha reso note le proprie considerazioni, riconoscendo in primo luogo ai libici il merito di essere riusciti a portare avanti l'inchiesta nonostante la guerra civile che ha insanguinato il  paese nel 2011.

La Onderzoeksraad ha anche apprezzato la ricostruzione dei fatti fornita dalla LCAA, sulla base della quale è stato possibile approntare una animazione delle ultime fasi del volo (disponibile on line) dalla quale si deduce che all'origine dell'incidente c'è l'errata interpretazione, da parte dell'equipaggio, della cartina di avvicinamento. In pratica, la discesa finale, che doveva cominciare a 5,2 miglia dal VOR-DME di Tripoli, è stata iniziata in anticipo, ed esattamente a 5,2 miglia dalla pista. Il fatto che il VOR-DME si trovi oltre la fine della pista ha così condotto l'aereo a volare pericolosamente basso: un errore che lo stesso equipaggio aveva già commesso due settimane prima.

Quando i piloti, messi in allarme dal risuonare dell'allarme di vicinanza al terreno, hanno iniziato la procedura di riattaccata sono cominciati i guai. La manovra, innanzitutto, è iniziata in ritardo, e gli olandesi fanno notare che questo è probabilmente imputabile alla reticenza del copilota (che conduceva la manovra come pilot flying) a imporre la sua volontà a quella del comandante.

E' quello che viene definito steep authority gradient, ovverosia un rispetto esagerato del concetto di autorità che, in condizioni come quelle verificatesi quel mattino a Tripoli, può portare a manovre tardive e scoordinate. Scoordinate al punto che i due piloti sono intervenuti contemporaneamente sui comandi l'uno all'insaputa dell'altro, cosa che sugli Airbus è possibile, visto che i due joystick non sono fisicamente collegati tra di loro. Tra l'altro, benché i manuali del costruttore vietino l'intervento in simultanea sui comandi, tale pratica era tollerata dalla compagnia.

Un ulteriore aspetto che, sempre secondo gli investigatori olandesi, non è stato sufficientemente sviscerato è quello dell'illusione ottica indotta dalla scarsa visibilità (circostanza aggravata dal sole in faccia, data l'ora mattutina) che ha ingannato i piloti inducendoli a ripetute manovre a picchiare fino al disastroso impatto con il terreno.

In definitiva, pur riconoscendo che il succedersi degli eventi è stato ricostruito con buona precisione, il principale appunto mosso dagli olandesi ai loro colleghi libici è quello di non aver tenuto finora nel debito conto le vere cause dell'incidente, tra le quali sono da annoverarsi la non aderenza alle procedure raccomandate dal costruttore, l'evidente scarsa dimestichezza con la corretta lettura delle carte di avvicinamento, la deficitaria applicazione dei concetti di ottimizzazione delle risorse umane in cockpit, e la mancata presa in considerazione delle avverse condizioni ambientali. Last, but not least, anche la fatica legata a una non corretta ripartizione dei tempi di riposo in crociera avrebbe giocato un suo ruolo.

Il quadro che ne emerge è quello di un paese la cui aviazione commerciale ha ancora molto da lavorare, sul piano della sicurezza, se vuole evitare di finire nella black list della comunità europea e, quel che più conta, il ripetersi di eventi simili.

(15 marzo 2013)