Inchiesta conclusa per BA38

Scritto da Pietro Pallini

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Ci sono voluti due anni per avere il rapporto definitivo sull'incidente che, il 17 gennaio del 2008, vide un Boeing 777 di British Airways “atterrare corto” sulla pista 27L dell'aeroporto londinese di Heathrow. Due anni sono tanti, ma questo è il tempo ragionevolmente richiesto da un'indagine complessa come quella su un'incidente aereo.

Per riassumere brevemente i fatti, quel giorno il volo BA 38 da Pechino a Londra, dopo un viaggio “uneventful”, senza inconvenienti, durato poco più di dieci ore in condizioni meteorologiche prevalentemente buone ma con temperature più fredde del solito, si trovava ormai a meno di un minuto dall'atterraggio quando i due motori, prima quello di destra e subito dopo quello di sinistra, registrarono un brusco calo di potenza.

Né gli automatismi di bordo, né l'intervento del pilota ebbero risultato e l'aereo finì col toccare terra circa 300 metri prima dell'inizio della pista, evitando di misura edifici e una strada molto trafficata.

I soccorsi arrivarono sul posto in meno di due minuti. Nessun principio d'incendio, nonostante la presenza di carburante fuoriuscito dai serbatoi. L'evacuazione si concluse con un discreto numero di feriti, di cui uno grave, e nessuna vittima.

Secondo la commissione d'inchiesta la ragione della mancata risposta dei motori alla richiesta di potenza è da ricercarsi in un accumulo di ghiaccio lungo il condotto che porta il carburante dai serbatoi ai motori, e più precisamente, all'altezza del cosiddetto FOHE (Fuel Oil Heat Exchanger).

Durante i lunghi voli a quote molto alte, la temperatura del carburante scende di molti gradi sotto allo zero, e se il cherosene può tranquillamente sopportare temperature fino a -40°, altrettanto non si può dire dell'acqua che è sempre contenuta, entro certi limiti, nei serbatoi. E' per questo che, prima di arrivare ai motori, il carburante passa attraverso un radiatore (il FOHE) dove circola l'olio che serve a lubrificare gli ingranaggi dei motori. Con questo accorgimento si ottengono due risultati: scaldare il carburante, eliminando formazioni di ghiaccio, e raffreddare l'olio, garantendone la capacità lubrificante.

Ebbene, numerose prove di laboratorio susseguitesi in questi due anni hanno dimostrato che nel caso di lunga esposizione a temperature estremamente basse la possibilità di formazione di ghiaccio esiste ugualmente, soprattutto se durante il volo non c'è richiesta di alti flussi di carburante al motore: è lo stesso principio in base al quale i grandi fiumi, che scorrono lentamente, si ghiacciano e i torrenti di montagna no.

L'aumento di flusso di carburante, normalmente, si ha al decollo, nella salita iniziale e durante i cambi di quota in crociera, ma una pratica di molte compagnie, tesa a diminuire i consumi, prevede che questi cambi di quota vengano effettuati “dolcemente”, senza sfruttare esageratamente i motori. Ed è appunto quello che i piloti del B 777 di Heathrow hanno fatto, e così piano piano si è creato, a loro insaputa, un accumulo di ghiaccio “soffice” che nel momento cruciale dell'avvicinamento si è rivelato fatale.

Analoghe situazioni, sia pure con esiti meno disastrosi, sono stati accertate su almeno altri due voli di lungo raggio condotti su Boeing 777. Nel primo, sempre in fase di avvicinamento, solo un motore era stato coinvolto, nell'altro il problema si era manifestato in quota, dando così tempo all'equipaggio di affrontare positivamente l'emergenza di due motori apparentemente “piantati”.

Non a caso, la maggioranza delle 18 “Safety Recommendation” che concludono l'inchiesta dell'AAIB (Air Accidents Investigation Branch), pone l'accento su questo aspetto, imponendo revisioni (alcune delle quali già operative) sulle procedure di impiego e soprattutto sulle norme di certificazione degli impianti di carburante sugli aerei di lungo raggio.

Un fatto però non deve essere sottovalutato, ed è il colpevole ritardo dell'industria nel prefigurare tutte le conseguenze di una situazione che il progresso tecnico ha ormai reso abituale: un aereo di lungo raggio oggi vola a quote più alte e per più tempo di quanto non facesse fino a pochi decenni fa. Il volo BA 38 ha iniziato la sua crociera a FL350 (10.600 metri) e l'ha conclusa a FL400 (12.200 metri). Ebbene, solo vent'anni fa FL350 sarebbe stato il livello conclusivo, e non quello iniziale.

E se questo da un lato consente notevoli risparmi di tempo e carburante, dall'altro pone nuovi problemi che non sono stati sufficientemente studiati a priori, tanto da far dichiarare agli esperti dell'AAIB che “questo fenomeno (quello che ha causato l'incidente di Londra N.d.R.) e il rischio relativo erano sconosciuti all'atto della certificazione dell'aereo”.

Balza gli occhi l'analogia con quanto dichiarato nell'ultimo rapporto della BEA (equivalente francese dell'inglese AAIB) a proposito dell'incidente del volo Air France Rio-Parigi del 1° giugno scorso: “non tutti i fenomeni meteorologici presenti ad alta quota sono conosciuti con sufficiente precisione”.

Quello che invece è ben conosciuto, è che volare ad alta quota consente notevoli risparmi alle compagnie: sorge spontaneo il sospetto che il progresso sia stato più attento al profitto che alla sicurezza.

(15 febbraio 2010)

tra FL350 (10.600 metri) e