Windshear

Scritto da Antonio Chialastri

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Letteralmente, windshear significa “rasoiata di vento”. In inglese, to shear significa anche "tosare" ed è un verbo molto usato in Nuova Zelanda, che ha settanta milioni di pecore. In ambito aeronautico il termine indica una brusca variazione dell'intensità e della direzione di provenienza del vento.

Il vento è un elemento ineliminabile nelle considerazioni che i piloti fanno sull’atterraggio. La direzione di provenienza può essere frontale, in coda, di lato o dall’alto, mentre l’intensità può variare da pochi nodi a centinaia di nodi, come avviene durante gli uragani.

Di solito, si atterra con il vento frontale, perché aumenta le prestazioni dell’aereo, fornendo un vento relativo per mantenere la velocità all’aria, riducendo allo stesso tempo la velocità rispetto a terra (ground speed). Ciò significa che la distanza di pista necessaria per l’atterraggio diminuisce, facilitando l’arresto dell’aereo prima della fine pista.

Il vento in coda ha l’effetto contrario, incidendo negativamente sulle prestazioni, in termini di velocità e di pista necessaria.

Il vento di lato è critico, perché il pilota deve effettuare delle manovre che consistono nel portare la prua in direzione di atterraggio (perché altrimenti il carrello di atterraggio toccherebbe “storto”, con pericolo di rottura), ma allo stesso tempo deve inclinare le ali per non essere spinto verso il lato della pista dal vento. Quindi, avremo i "comandi incrociati", ad esempio con il piede sinistro che indirizza la prua, mentre il volantino girato a destra per inclinare l’ala del tanto che basta per contrastare l’effetto del vento.

Per il vento al traverso ci sono dunque dei limiti massimi stabiliti dalla certificazione. Questi limiti permettono di contenere l'inclinazione laterale entro limiti tali da non permettere alle ali di toccare la pista prima del carrello e di non superare, sempre sul carrello, un carico oltre il quale si romperebbe.

E infine c'è il vento che proviene dall’alto, per effetto di fattori orografici e meteorologici.

Da notare che, nella costruzione delle piste, vengono presi in considerazione anche i venti prevalenti nella zona, a meno che non ci siano dei fattori orografici che impongano di costruire proprio lì, prescindendo da considerazioni tecnico-professionali. Nel caso di Palermo, la scelta di costruire un aeroporto ai piedi di un monte isolato ha delle logiche che la comunità aeronautica ancora sta cercando di capire.

Infatti, l’effetto del vento, quando incontra un ostacolo è un po’ come la sensazione che si prova quando siamo immobili alla fermata dell’autobus mentre passa una macchina molto veloce nelle vicinanze: sentiamo dei vortici che ci sbatacchiano i pantaloni. Tutto ciò succede perché la macchina investe l’aria, che è ferma, provocando con il suo passaggio una sorta di vuoto che deve essere colmato. Il riempimento di quel vuoto avviene improvvisamente, creando della turbolenza. Ora, vi è un equivalenza tra una macchina in movimento che muove l’aria ferma e l’aria in movimento che investe un ostacolo fermo, come può essere un monte.

Quando a Palermo il vento è da sud, di solito è molto sostenuto, tant’è vero che i venti di scirocco (originariamente: dalla Siria) soffiano a velocità mediamente superiori a venti nodi (trentasei chilometri orari). Più il vento è forte e più ci sarà turbolenza, che rende più difficile il controllo dell’aereo.

Inoltre c’è un’altra cosa che aumenta l’intensità del vento, ed è l’effetto delle grosse nuvole, come i cumulonembi. L’attività, all’interno di queste masse umide pesanti qualche tonnellata, che abbiamo proprio sopra la testa, è tale da trovare correnti di aria discendenti ed ascendenti a forte velocità. L’attività convettiva non si ferma solo all’interno della nuvola, ma viene “sparata” verso terra, provocando il fenomeno del downdraft, cioè una spinta verso il basso, che ricorda molto l’immagine di Eolo che sbuca dalle nubi con le guance gonfie. Se un aereo che sta effettuando un atterraggio, viene sfortunatamente investito da questo getto, deve opporre una spinta uguale e contraria per mantenere la propria traiettoria verticale di discesa.

Purtroppo, in fase di atterraggio i motori sono molto prossimi alla spinta minima e questa condizione rende estremamente insidioso il fenomeno del windshear a bassa quota.

(1 ottobre 2010)

è quello che dicevamo prima: non esiste la soluzione assolutamente vera... tra non guidare mai e guidare sempre a tutti i costi c'è senz'altro una soluzione intermedia, fatta di buon senso