Ancora su Smolensk

Scritto da Franco Di Antonio

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Le proteste dei politici polacchi avverse ai risultati dell’inchiesta portata avanti dal MAK sostengono in buona sostanza che i risultati sono inaccettabili perché condizionati dalla necessità politica di coprire le responsabilità dei russi nell’evento.

Le principali questioni riguardano il funzionamento corretto degli apparati di terra ed il comportamento dei controllori del traffico russi che non avrebbero chiaramente operato per garantire la sicurezza proibendo l’atterraggio al volo di Stato.

Anche volendo ammettere queste manchevolezze nel rapporto del MAK, sostanzialmente il profilo della vicenda non cambia. Il fatto deve ritenersi un incidente aereo, e le polemiche hanno molto a che vedere con i bizantinismi della politica, e ben poco con le questioni aeronautiche. Per la sicurezza del volo le colpe (qualora esistano) sono secondarie rispetto alla valutazione degli errori o delle carenze tecniche, in pratica si risponde alla domanda “che cosa è successo?”, piuttosto che a “di chi è la colpa?”.

Per quello che riguarda il fattore tecnico le questioni sono evidenti. L’aereo, un Tupolev-Tu 154M era perfettamente funzionante, era operato dalla Forza Aerea Polacca (Siły Powietrzne Rzeczypospolitej Polskej=Forze Aeree della Repubblica Polacca), un po’ come la maggior parte degli aerei presidenziali, ed era stato completamente revisionato da pochi mesi con l’installazione dei più moderni apparati elettronici. I suoi motori, tre Soloviev D-30KU, erano regolarmente operanti.

Il mezzo contraddistinto dalla matricola militare 101 e inquadrato nel 36° Reggimento Speciale dell’aviazione, era stato costruito nel giugno 1990 presso l’impianto di Kuybyshev con il numero di serie 90A837. Al momento dell’incidente aveva accumulato 5.143 ore di volo e 3.899 atterraggi (cicli), ben poche per un aereo da trasporto (la vita media di questo tipo di aereo è di 30.000 ore e 15.000 cicli). A ogni buon conto l’aereo, per espressa volontà del Presidente, fu sottoposto a una revisione completa nel dicembre del 2009 per ricevere anche le più moderne apparecchiature. Al momento del disastro aveva sviluppato 138 ore di volo dopo la revisione avvenuta presso l’Aviakor di Samara.

Le innovazioni tecnologiche comprendevano un sistema di visualizzazione multifunzione (MFD-640), un radar meteo, un sistema di avviso di prossimità del terreno (TAWS e GPWS), un sistema anticollisione (TCAS), un sistema di gestione del volo digitale (FMS UNS-1D), un sistema di navigazione satellitare (GNSS), un sistema inerziale digitale (IRS), più i soliti ILS (sistema di atterraggio strumentale) e radio altimetro.

Naturalmente tutta questa panoplia di apparecchiature richiede anche il conseguente addestramento dell’equipaggio al suo corretto utilizzo. Va inoltre rilevato che ognuno di questi apparati ha bisogno non solo di lunghe ore di simulatore da smaltire per apprenderne completamente il funzionamento, ma anche di un intenso utilizzo operativo.

Su questo tema il MAK ha sollevato osservazioni negative: l’equipaggio non sarebbe stato preparato al meglio, d’altra parte nella migliore delle ipotesi aveva avuto a disposizione tre mesi per familiarizzare con le nuove apparecchiature. Il Comandante del volo aveva 3.480 ore di volo totali, 36 anni di età, 530 ore come comandante di Tu-154; il copilota anche lui di 36 anni, aveva 1.900 ore totali di cui 198 sul Tu-154; il tecnico di volo di 37 anni con 320 ore totali e 235 sul tipo di aereo; a questo volo era stato aggiunto un navigatore (che è una composizione di equipaggio non usuale), di 32 anni con 1.060 ore di volo totali di cui solo 60 sul Tu-154.

Tra le varie complicazioni portate dalle innovazioni tecnologiche, c’era quella del regolaggio degli altimetri che non permetteva l’uso del QFE (la misurazione dell’altezza in base alla pressione atmosferica esistente sul campo d’atterraggio), in assenza dei dati dell’aeroporto di destinazione nel data-base del sistema elettronico. Sui campi russi si atterra proprio usando il sistema QFE, il velivolo polacco però ha dovuto usare il QNH (la misurazione della quota in base alla pressione esistente al livello del mare), perché i dati di Smolensk non erano inseriti nel data-base. Se per esempio si deve atterrare su di un campo al livello del mare, il problema tra i due regolaggi è nullo, nel caso di Smolensk la differenza tra i due riferimenti era di 160 metri, come vedremo più che sufficienti per arrivare al disastro. Va detto che per usare i due sistemi nelle procedure di atterraggio in bassa visibilità occorre essere perfettamente addestrati, a maggior ragione nel caso che si usi una procedura ibrida come l’uso del QNH su di un campo con procedura pubblicata su dati QFE non convertiti.

Le carte di procedura dell’aeroporto militare di Smolensk erano in russo, lingua che fu usata dall’equipaggio in avvicinamento all’aeroporto, ma secondo le registrazioni, con un’evidente scarsa familiarità. Questa insufficiente abilità a comunicare in russo è stata rilevata come un altro fattore di confusione nell’interpretazione delle istruzioni emerse dai controllori russi.

Altro fattore che ha alimentato una cattiva interpretazione della situazione è stato la presenza del navigatore, non codificata nelle procedure e non sufficientemente messa a punto in sede di preparazione del volo speciale.

Secondo il MAK l’incidente si poteva evitare solo andando ad atterrare ad un aeroporto alternato con condizioni meteo adeguate. Il comandante, invece, avrebbe forzato la decisione di tentare l’avvicinamento proprio fidando sulle apparecchiature elettroniche avanzate e pressato dalla presenza del capo dell’aviazione in cabina di pilotaggio.

Queste le premesse... la catena degli eventi la ricostruiremo nella prossima puntata.

(29 gennaio 2011)