Attenti all'ala

Scritto da Pietro Pallini

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Pochi mezzi di trasporto appaiono più goffi di un grosso aereo di linea che si muove lungo le vie di rullaggio di un aeroporto. Se poi l'aeroporto in questione è uno dei più trafficati del mondo, allora portare l'aereo dalla pista al parcheggio (e viceversa) diventa spesso un'impresa.

Un'impresa che richiede una buona dose di attenzione, perché molte sono le insidie che da un momento all'altro si possono presentare: si va dalla banalissima valigia persa da qualche carrello trasportatore e che, magari pressoché invisibile nell'oscurità, rischia di essere risucchiata dai motori, agli autisti dei mezzi di superficie che a volte si muovono con eccessiva disinvoltura intorno agli aerei.

E poi certi aeroporti sono davvero al limite della saturazione, e nelle ore di punta si trasformano in una specie di formicaio impazzito... solo che le formiche, almeno, non hanno le ali.

Ricordo ancora oggi con un brivido l'estremità alare di un Jumbo che passò a meno di un metro dal muso del mio MD-11, tanti anni fa a Chicago, mentre il suo primo ufficiale si sporgeva in precario equilibrio fuori dal finestrino per guidare il suo comandante nella manovra: anch'io aprii il mio finestrino, non so neppure oggi se per fornire una qualche sorta di aiuto al mio sconosciuto collega o per garantirmi una via di fuga rapida in caso di collisione.

E' per questo che non sono poi così meravigliato nel vedere le immagini che internet propone in queste ore: la punta dell'ala di un Airbus A-380 (il più grosso aereo in circolazione) che “aggancia” la coda di un Bombardier CRJ-700, facendolo ruotare su se stesso di quasi 90 gradi come se si trattasse di un giocattolo... eppure è un bireattore da 70 posti, pesante quasi 30 tonnellate.

L'incidente è accaduto al Kennedy di New York in uno dei tanti punti critici dell'aeroporto: l'intersezione tra le taxiway A e M. La A è una sorta di circonvallazione che circumnaviga l'intera aerostazione passeggeri. Ce ne sono due (A e B), simili alle due corsie di una tangenziale, e da esse si dipartono da un lato le vie di accesso alle piste e dall'altro quelle (come la M) che conducono ai parcheggi. A complicare la situazione, la presenza di una curva abbastanza stretta e, nel caso specifico, l'oscurità.

Il pilota di un A-380 è seduto a quasi 20 metri da terra e l'estremità (tip, in gergo) dell'ala (lunga una quarantina di metri) si trova 50 metri dietro alle sue spalle: l'unico modo di vederla, come fece quella volta il pilota del B-747, e quello di sporgersi dal finestrino. E siccome non si può certamente stare in quella posizione per tutte le svariate decine di minuti che un rullaggio al JFK può durare, non resta che affidarsi alle istruzioni degli operatori del ground control, cercando di seguire con la massima precisione la cosiddetta center line, la linea di mezzeria materializzata da una striscia gialla sull'asfalto.

Con la pratica, si impara anche a crearsi dei punti di traguardo sul parabrezza, capaci di fornire un buon riferimento circa la posizione del carrello, delle gondole motore e della tip alare, ma questo sistema ha un grosso limite: è pienamente attendibile solo se la traiettoria è rettilinea, mentre la nostra taxiway A, proprio prima dell'intersezione con la M, descrive una curva abbastanza stretta. Metteteci l'oscurità e il fatto che il “piccolo” CRJ-700, pare a causa della presenza di un furgone che  gli si è parato davanti, si è fermato appena entrato sul piazzale, e la frittata è fatta.

La dinamica esatta dell'incidente, che si è concluso senza danni per gli occupanti dei due aerei, sarà chiarita dalle competenti autorità, ma una cosa possiamo senz'altro dirla fin da ora.

Meno male che non è avvenuto in Italia: il “piccoletto” stava entrando al parcheggio, e da noi, quasi sicuramente, almeno metà dei suoi passeggeri sarebbero stati già in piedi, occupati a rovistare nelle cappelliere, con conseguenze facilmente immaginabili.

(14 aprile 2011)