Interpilot

Scritto da Pietro Pallini

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Barbare, c'est toi?”, barbaro, sei tu? Alle tre di notte, sorvolando l'equatore diretto a Johannesburg, non è esattamente il genere di frase che uno si aspetta di sentire uscire dalla radio di bordo... eppure stavano senz'altro chiamando me, perché il “barbaro” sono io.

Il soprannome me l'avevano affibbiato i miei colleghi francesi nei due anni passati a lavorare in Air France. Era una sorta di ripicca, perché io, conoscendo il carattere sciovinista dei francesi, non perdevo occasione di dichiarare che tutto quello di buono che, nel corso dei secoli, la loro civiltà aveva prodotto aveva origini toscane.

Tanto per cominciare, era stato Giulio Cesare a civilizzare le Gallie, e sulle origini etrusche (e quindi toscane) di Roma gli storici sono ormai concordi. Anche la tradizione culinaria francese si deve in qualche modo a una toscana, Caterina dei Medici, andata sposa a metà del '500 a Enrico II, portando in dote anche la sua personale brigata di cuochi. Per non parlare dell'opera d'arte della quale i cugini transalpini vanno più fieri, la Gioconda, dipinta guarda caso da un toscano. Per arrivare infine al grande Napoleone Bonaparte, còrso sì, ma di ascendenze toscane.

In definitiva sostenevo che, senza noi toscani, i francesi non avrebbero neppure conosciuto la parola “civiltà”, e loro, punti sul vivo, si erano vendicati bollandomi con l'ironico appellativo di “barbaro”. Ma come mai questo soprannome rispuntava fuori, del tutto inaspettato, a distanza di qualche anno nella notte africana?

Bisogna sapere che su buona parte dell'Africa non esiste copertura radar e anche le comunicazioni radio sono molto problematiche. Per garantire un livello minimo di sicurezza, vige quindi l'obbligo, anche se non ci sono stazioni radio a terra, di effettuare ugualmente i riporti di posizione. C'è una frequenza radio dedicata a questo (126,9 Megahertz), e tutti i piloti sono obbligati non solo a riportare periodicamente quota, posizione e orario stimato di sorvolo del prossimo punto, ma anche ovviamente a mantenere continuamente l'ascolto, in modo di farsi un'idea il più precisa possibile della situazione del traffico.

E proprio da uno di questi messaggi (tecnicamente definiti “all'aria”, perché non diretti a un ascoltatore specifico), il pilota di un aereo Air France in rotta opposta alla nostra aveva creduto, a ragione, di riconoscere la mia voce. E così gli ho risposto: “Oui, c'est moi, sono io... uno-due-tre-quattro-cinque”.

Dove “uno-due-tre-quattro-cinque” sta per un'altra frequenza radio (123,45 Megahertz) che è una cosiddetta interpilot: una frequenza non assegnata a nessun servizio di controllo, che usiamo per parlare tra di noi con la sicurezza di non interferire con le comunicazioni ufficiali. Alcuni la chiamano scherzosamente “frequenza internazionale dei saluti e baci”, ma serve in realtà anche a scambiarsi informazioni preziose, soprattutto quando si vola in zone definite "inospitali", come appunto l'Africa, o la Siberia, o gli oceani.

E infatti quella notte, dopo aver sintonizzato un'altra delle tre radio di bordo sulla 123,45, oltre a salutare affettuosamente il mio collega francese, ne approfittai per apprendere dalla sua voce notizie fresche sull'evoluzione di alcune grosse nubi temporalesche che, secondo le cartine meteo, ci stavano aspettando qualche centinaio di miglia più a sud, in una zona che lui aveva appena attraversato.

I temporali equatoriali sono i più violenti che si conoscano, e disporre di informazioni di prima mano, che consentano di elaborare una strategia di aggiramento adeguata, fa sempre piacere.

Esattamente come fa piacere, dopo tanto tempo, sentir sorgere dal nulla la voce di un vecchio amico... anche se ti chiama “barbaro”.

(29 marzo 2012)