Telefonata notturna

Scritto da Pietro Pallini

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Tardo pomeriggio in un aeroporto intercontinentale dall'altra parte del mondo: a bordo è tutto pronto per partire, stiamo firmando il piano di carico, poi faremo chiudere le porte e tra qualche minuto ci autorizzeranno a mettere in moto i motori per tornare in Italia.

Mi allaccio le cinture di sicurezza e cerco nel taschino della camicia il telefonino: il tempo di un sms per avvertire a casa che stiamo partendo in orario, e poi lo spengo.

Bella invenzione, il cellulare, per chi come noi passa venti giorni al mese fuori casa. C'è da impazzire un po' per trovare il modello adatto a ricevere tutte le varie frequenze, perché non c'è ancora uno standard universalmente adottato, a volte il gioco dei fusi orari fa sì che ti sveglino in piena notte e le bollette finiscono con l'essere un po' salate, ma almeno si riesce a restare in contatto con il mondo normale, e non è poco.

Quattro ore dopo, a 11.000 metri di quota sull'oceano, mi alzo dal mio sedile per cedere il posto ad un collega: è il momento del mio turno di riposo.

Più o meno nello stesso momento a casa mia, e sono le due di notte, squilla il telefono, quello fisso.

E' una voce sconosciuta, seria e vagamente esitante: “Pronto, parlo con la signora Pallini?” Sullo sfondo si percepisce il rumore intermittente di una sirena: “Sì, sono io...”.

La voce, che mia moglie cataloga come “voce di poliziotto”, riprende: “Mi scusi, ma è proprio la signora? La signora... del pilota?” Ora è perfettamente sveglia, e schizza a sedere sul letto: “Sì, sì... ma che è successo?”

“Scusi se la disturbo- pausa, e il ricevitore comincia a scivolare nella mano sudata- “sono il vicino di casa dei suoi suoceri... qui è scattato l'antifurto e loro non ci sono... so che lei ha una copia delle chiavi... se potesse venire a spegnerlo.”

Eh sì, perché i miei sono andati una settimana al mare, hanno un antifurto in casa, e nell'appartamento accanto abita un maresciallo di PS in pensione che ora, sentendo il silenzio che è calato dall'altra parte del filo, si preoccupa un po' e si scusa ancora.

Mia moglie riprende fiato: “Ma no, ma no... nessun disturbo... certo che posso venire... guardi, mi sto già vestendo... davvero, nessun disturbo, si figuri... sono lì tra un quarto d'ora.”

Però altre quattro ore più tardi, quando la chiamo dopo l'atterraggio e mi racconta quello che è successo, mi confessa che una buona parte di quel quarto d'ora l'ha passata seduta sul letto, ad aspettare che le gambe smettessero di tremare.

(26 novembre 2009)