Ero qui prima di voi

Scritto da Pietro Pallini

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Con l’aria che tira in questi giorni a Fiumicino, un “normale” incidente di volo, tanto più se tutto si risolve solo con un po’ di ritardo, è per Alitalia senz’altro la minore delle preoccupazioni. E tuttavia  un bird strike in decollo, soprattutto ad alta velocità, non è cosa da prendere alla leggera.


Lo scontro tra il volatile e il velivolo, un Airbus A-320 in decollo verso Roma, è avvenuto il sabato di Pasqua ad Amsterdam, mentre il volo AZ-111 stava ormai per staccare le ruote da terra: i piloti hanno interrotto il decollo per rientrare al parcheggio, dal quale sono ripartiti dopo la prescritta ispezione per atterrare a FCO con poco meno di tre ore di ritardo.

Tutto bene quello che finisce bene, dunque, anche se qualche polemica c’è stata perché, secondo certi siti di rilevamento dei dati di volo, l’aereo era ormai lanciato ad una velocità ben superiore alla V1, e in queste condizioni i manuali dicono che il decollo deve essere comunque continuato. In realtà, se si considera che la pista dalla quale stavano decollando (la 36L) è lunga quasi 4 chilometri, anche ammesso che la velocità sia stata davvero di 130 nodi (ma l’attendibilità di certi dati è tutt’altro che provata) bene ha fatto il comandante ad esercitare il suo good judgement restandosene a terra piuttosto che andare in volo senza sapere se ambedue i motori fossero danneggiati.

Come sempre succede, i piloti da scrivania sono sempre pronti a giudicare e condannare senza tenere conto di fattori quali la contestualizzazione delle condizioni e, last but not least, l’esperienza e la capacità di giudizio dei professionisti seri e addestrati che siedono nella primissima fila degli aerei della nostra compagnia. E tra i fattori presi in considerazione dall’equipaggio Alitalia protagonista di questa avventura ci sarà senz’altro stata anche la preoccupazione di doversi ritrovare in volo con due motori danneggiati su un aeroporto dove la congestione del traffico pone problemi anche quando tutto va bene.

Amsterdam è infatti uno degli aeroporti più trafficati di un mondo dove i cieli sono sempre più affollati e i voli aumentano ogni giorno di più, costringendo gli enti di controllo a trovare nuove soluzioni per ridurre al minimo quelli che noi chiamiamo "conflitti di traffico". Ma quando si parla di rischio di collisione tra gli aerei e coloro che, fino a un secolo fa, erano i soli abitatori del cielo i cosiddetti "uomini radar" non hanno più giurisdizione.

E gli uccelli, forse per la totale assenza di cacciatori oppure per gli ampi spazi che permettono loro il tempestivo avvistamento di potenziali nemici o succulente prede, hanno per gli aeroporti una speciale predilezione… e Amsterdam, per le sue caratteristiche orografiche e ambientali, è anche in questo caso nelle posizioni di testa delle classifiche.

Ora, per quanto un uccello possa sembrare piccolo e indifeso se paragonato a un aereo commerciale, l'eventuale collisione può causare a quest'ultimo un bel danno: da una banale (ma costosa) ammaccatura allo sfondamento del parabrezza, e se l'alato intruso viene risucchiato da uno dei motori può addirittura (Sully docet) provocarne l'arresto.

E il pericolo ovviamente aumenta se l’impatto avviene in fase di decollo o atterraggio, quando la vicinanza col suolo riduce i margini di manovra, e soprattutto se si ha la sfortuna di imbattersi in uno stormo di gabbiani, dotati di una struttura ossea particolarmente resistente e numerosi intorno alle piste vicine al mare o sulle discariche di rifiuti che sconsideratamente vengono spesso posizionate proprio vicino agli aeroporti, magari per utilizzare terreni che non sarebbero altrimenti edificabili.

E' anche per questo che si decolla con i fari accesi: per rendersi più visibili proprio agli uccelli, che vedendo arrivare una "bestia" tanto più grossa di loro si allontanano (o almeno dovrebbero). Anche le emissioni del radar di bordo (normalmente usato a fini meteorologici) li disturbano, tenendoli alla larga dalla nostra traiettoria, e più in generale si cerca di farli sloggiare ricorrendo all'impiego di rapaci addestrati, o di disturbarli con l'emissione di ultrasuoni, con l’imitazione dei versi di predatori o con rumori improvvisi, di solito prodotti a intervalli irregolari da una specie di cannoncino ad aria compressa.

A volte però gli uccelli danno prova di una capacità di adattamento che pare farsi beffe dei nostri sforzi: anni fa, mentre aspettavo disciplinatamente il mio turno di decollo, mi è capitato di vedere un gabbiano che aveva eletto a suo trespolo proprio uno di questi cannoncini.

A ogni "botto" l'ostinato pennuto si scuoteva, sbatteva le ali alzandosi in aria per una decina di centimetri, e poi tornava a posarsi tranquillamente su quel marchingegno che, nelle intenzioni di chi lo aveva messo lì, avrebbe dovuto indurlo a una precipitosa fuga.

"Ero qui ben prima di voi -pareva dire- e non sono affatto disposto a farmi cacciar via"

(18 aprile 2017)