La strana idea

Scritto da Pietro Pallini

Stampa

C'è una storiella che gira ormai da anni nell'ambiente aeronautico e si riferisce all'annuncio fatto da un assistente di volo (pare di una compagnia americana) dopo l'atterraggio. Il solito annuncio che si sente durante il rullaggio verso il terminal, stavolta fatto con una fraseologia a dir poco insolita.

"Vogliamo ringraziarvi -avrebbe detto il fantasioso steward- di aver volato con noi oggi. E la prossima volta che vi verrà la strana idea di andarvene a spasso per i cieli dentro un tubo di metallo, speriamo che sceglierete ancora noi".

Non so se si tratta di un fatto realmente accaduto o di una delle tante leggende metropolitane in circolazione, ma è certo che quella che oggi sembra essere una cosa perfettamente normale era davvero, fino a poco più di cento anni fa (per la precisione fino al 17 dicembre 1903) una "strana idea".

La "strana idea" di far staccare da terra una cosa più pesante dell'aria, e di riportarcela tutta intera  sotto il costante controllo dell'uomo che aveva avuto il coraggio di affidarsi a quello che ancora non era (ma lo sarebbe presto diventato) il "tubo di metallo" del nostro estemporaneo annuncio.

E anche se al giorno d'oggi volare è diventata un'attività quasi di routine, alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non si è chiesto come diavolo faccia un aereo di trecento tonnellate a farsi beffe della forza di gravità.

La risposta è tutto sommato abbastanza semplice: lo fa opponendo a quella forza un altra forza, uguale ma di senso contrario, che si genera sulle ali per effetto della velocità di avanzamento dell'aereo.

Le ali infatti hanno una forma che potremo definire "a gobba", e quando attraversano una massa d'aria costringono una parte di quest'aria, quella che passa "sopra", a compiere un cammino più lungo di quella che invece passa "sotto". Dovendo fare più strada, la velocità di scorrimento del fluido aumenta ma questo, secondo una nota legge aerodinamica con la quale non starò troppo ad annoiarvi, provoca una diminuzione della sua pressione.

Le ali dunque, e con esse l'aereo al quale sono fissate, vengono come succhiate verso l'alto da una forza che noi chiamiamo "portanza".

Compito dei progettisti è quello di trovare una forma (un "profilo alare", lo chiamiamo noi) e una superficie adatte a produrre un "risucchio" di intensità pari al peso dell'aereo e... il gioco è fatto: trascinato verso dall'alto da questa invisibile forza aerodinamica il nostro "tubo di metallo" è ora in grado di librarsi senza sforzo apparente nel cielo.

Ho detto "invisibile", ma in realtà c'è un momento in cui la portanza si fa vedere, e a poterla scorgere sono i passeggeri seduti in corrispondenza delle ali. Guardando fuori dal finestrino durante la corsa di decollo, con un po' di attenzione è possibile notare, pochi istanti prima dell'effettivo distacco, una leggera flessione verso l'alto delle estremità alari: è la portanza che inizia a fare il suo lavoro.

Per il momento non è abbastanza forte da sollevare l'intero aereo, ma è solo questione di attimi: ancora poche centinaia di metri e un po' di velocità in più, e le nostre trecento tonnellate staccheranno le ruote da terra.

Ora sembra che sull'ala non succeda più nulla, ma non è così: la nostra amica portanza continua a opporsi con successo al peso dell'aereo, e continuerà instancabilmente a farlo fino al momento di posarsi sulla pista dell'aeroporto di destinazione.

E la prossima volta che vi verrà la strana idea di andarvene a spasso per i cieli dentro un tubo di metallo, pensate che in fondo in fondo non è poi così strana: bastava pensarci.

(8 luglio 2010)