L'eroina fa bene

Scritto da Antonio Chialastri

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Sarete sicuramente saltati sulla sedia leggendo il titolo. Ma come accade nei quotidiani nazionali, dove il titolo non c’entra niente con il contenuto dell’articolo, anch’io ho voluto aprire con una boutade per disorientare il lettore: non sto parlando della sostanza psicotropa che nell'Italia negli anni '70 costrinse generazioni di giovani a una dipendenza devastante.


Eroina in questo caso è il femminile di eroe. Esatto: il contraltare muliebre di “Sully”, che abbiamo ammirato per il suo ammaraggio sul fiume Hudson qualche anno fa, dopo che l’impatto in volo con delle oche selvatiche aveva provocato lo spegnimento di tutti e due i motori.

L’eroina in questione è il comandante Tammie Jo Shults del volo Southwest 1380, che qualche giorno fa ha fatto vivere a passeggeri ed equipaggio un brutto quarto d’ora. Parlo letteralmente di quindici minuti in cui è successo di tutto.

Tutto è cominciato con un motore che è esploso, sparando le palette del compressore come fossero schegge impazzite. Una di queste schegge ha aperto una falla su un finestrino che ha provocato due conseguenze: l’aereo ha immediatamente perso la pressurizzazione, ed una passeggera è stata risucchiata fuori: solo la prontezza di chi le era vicino ha permesso che la passeggera restasse all’interno della carlinga.

La dimensione eroica di questa pilotessa risiede nel fatto di essersi comportata come un automa, mantenendo il necessario sangue freddo, riuscendo a gestire una serie di emergenze in contemporanea che pochi altri piloti maschi avrebbero potuto gestire con tale perizia.

Provate ad immaginare cosa è successo all’interno della cabina di pilotaggio. I due piloti erano probabilmente nella comfort zone di un volo che ha raggiunto la quota di crociera, con poche variazioni di assetto e potenza, la rotta seguita dal computer di bordo che sa cosa fare fino alla parte finale del volo. Le comunicazioni radio si fanno rarefatte, si comincia a pensare a cosa mangiare, si chiacchiera del più e del meno, mentre gli assistenti di volo sono in mezzo alla cabina per il servizio ai passeggeri. Un volo come tanti altri.

Improvvisamente, un boato. L’aereo sussulta, la prua ruota verso sinistra. Nello stesso momento risuona l’avviso Engine Fire (il motore sinistro è a fuoco). Un secondo più tardi l’aereo perde anche la pressurizzazione. Un forte dolore alle orecchie per via della pressione che arriva fino alla quota di crociera, il freddo che entra nell’aereo (la temperatura esterna è di -50C°), il pulviscolo che comincia a turbinare per via della pressione improvvisamente diminuita. È imperativo, in quei tre secondi, indossare la maschera ad ossigeno e scendere immediatamente.

Da una situazione tranquilla e sotto controllo adesso l’equipaggio si trova a dover contrastare una serie di emergenze in sequenza. Anzitutto, proteggere se stesso dalla mancanza di ossigeno che può portare allo svenimento (e in casi estremi e prolungati anche alla morte come nel caso del volo Helios 522 , già trattato su MdV). In secondo luogo, bisogna scendere per permettere anche ai passeggeri e agli assistenti di volo di respirare una volta che sarà esaurito l’ossigeno di emergenza.

In terzo luogo, occorre capire cosa è successo all’aereo, in termini di gestione sia del motore che della cellula aerodinamica. I piloti possono vedere solo strumenti sul pannello di fronte a loro. Non hanno consapevolezza della reale condizione delle ali, della coda, dei motori.

Al volo Qantas 32 (anche di questo abbiamo parlato su MdV) capitò un evento molto simile a questo,ma con la differenza che l’esplosione non provocò la rottura della carlinga, tuttavia gli slat (le superfici anteriori dell’ala che servono a volare a bassa velocità) furono divelti, creando una serie addizionale di problemi. I computer di bordo in quel caso subirono una serie di avarie per via dei cavi tranciati che mandarono letteralmente in tilt il sistema di gestione dei sistemi di bordo. L’equipaggio lavorò in modo impeccabile e più di 500 passeggeri uscirono incolumi dall’aereo con le proprie gambe all’aeroporto di Singapore.

Nel caso del volo Southwest, siamo di fronte ad un’emergenza multipla e l’equipaggio inizialmente potrebbe anche aver pensato ad una bomba esplosa a bordo. Quando si rompe il motore, si staccano i due rilevatori di incendio. Questo sistema a loop consiste in due distinti e distanti anelli (loop) intorno al motore il cui principio di funzionamento è molto semplice. Si presume che il fuoco fonda la guaina di questi loop. A seguito della rottura del circuito elettrico si genera un segnale in cabina di pilotaggio. Tuttavia vi può essere anche un falso avviso (falso positivo) dovuto a un sistema che si interrompe in modo spontaneo per un’avaria. Allora il sistema deve verificare se anche l’altro loop ha cessato di inviare informazioni elettriche al sistema di rilevazione ed estinzione incendio dei motori. Quando anche l’altro è interrotto, si attiva in cockpit l’avviso “Engine Fire”. Nel caso in questione, un’esplosione distruttiva che ha di fatto svuotato il motore, danneggiando entrambi i loop. Quindi, si è verificato un danneggiamento serio del motore (severe damage) ma inizialmente i piloti hanno registrato un’indicazione di fuoco al motore.

Un singolo evento (esplosione del motore) che ha provocato una serie di conseguenze collegate fra loro (fuoco motore, severe damage, depressurizzazione, emergenza medica) in modo talmente imprevedibile che solo un essere umano può gestire. Molte persone tendono a dimenticare proprio questo fatto elementare. Nessun computer avrebbe potuto gestire in così poco tempo e così efficacemente una situazione degradata a tal punto. Il computer può comprendere la situazione leggendo gli strumenti o le sonde, ma non analizzando la situazione nel suo complesso.

In questo caso, non è riportato in nessuno strumento che una passeggera stia volando fuori dal finestrino (sfortunatamente non c’è stato niente da fare per la signora, una volta arrivata in ospedale), né quanto tempo si ha a disposizione, né in quale aeroporto andare per ottenere assistenza medica, evitare di far morire anche agli altri passeggeri per un atterraggio su un aeroporto interessato da vento a raffiche.

In questo caso, il fattore umano ha giocato un ruolo determinante, riuscendo a gestire più emergenze complesse e ottenendo il migliore risultato ottenibile date le circostanze. Ai fautori dell’automazione spinta occorre talvolta ricordare che la risorsa rappresentata da un equipaggio riposato, addestrato e motivato è insostituibile. E che l’assuefazione alla tecnologia porta con sé effetti collaterali nocivi come qualsiasi dipendenza. Paradossalmente è successo quel caso improbabile in cui l’assuefazione all’automazione avrebbe rappresentato una specie di eroina, mentre l’eroina in questione è riuscita a comportarsi come un automa.

Una gran donna e un gran bel pilota.

(2 maggio 2018)