Stupidaggini e vecchie carrette

Scritto da Pietro Pallini

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Ho sotto gli occhi un articolo comparso il 5 gennaio su “il Giornale” a proposito dell'incidente di Capodanno a Surgut: “La fine di un incubo - Basta carrette volanti”, recita il titolo riferendosi evidentemente al TU-154 coinvolto in quell'incidente... 

Peccato che la fotografia che accompagna il titolo riproduca un bimotore, mentre l'aereo incriminato, di motori, ne ha tre. Una svista, si dirà... può darsi, ma non è questa l'unica “perla”.

“Quella bara volante della compagnia Kolavia sfrecciava sulla pista bianca di neve”, si legge, mentre l'incendio si è sviluppato in realtà in fase di messa in moto, e quindi ancora al parcheggio.

E poi tutto un crescendo di frasi ad effetto (killer dei cieli... ha ammazzato x persone... bara volante... mazzi di crisantemi lungo le autostrade dei cieli) e di statistiche malamente citate, facendo confusione tra incidenti per ora di volo e per numero di decolli, e arrivando a mettere nello stesso calderone ogni genere di incidente, purché vedesse coinvolta una “vecchia carretta” Tupolev.

Come quello di Smolensk, del quale abbiamo ampiamente parlato su Manuale di Volo, che ha avuto per protagonista un TU-154 che tutto era eccetto che una carretta volante: trasportava il presidente polacco ed era appena uscito da una manutenzione accurata, oltre ad essere equipaggiato con modernissimi sistemi di navigazione.

O quello che, nel 2002, ha visto un altro TU-154 scontrarsi in volo con un Boeing 757 nei cieli tedeschi, come se uno scontro aereo (causato principalmente da un errore del controllo del traffico aereo) avesse qualcosa a che vedere con il tipo di aereo coinvolto.

Ma il nostro intrepido giornalista fa di ogni erba un fascio, mettendo senza tentennamenti sul banco degli imputati il vecchio “cavallo da tiro” dell'Aeroflot (che lo ha dismesso da qualche mese).

Tuttavia, se si scorre l'ultima edizione della black-list della Comunità Europea, stilata nel novembre scorso e periodicamente aggiornata, dove sono elencati i vettori soggetti a divieto o a limitazioni per il sorvolo dei cieli europei, non c'è traccia né della compagnia (Kolavia), né del tipo di aereo (TU-154).

E se si vanno a consultare in maniera seria le statistiche, si scopre che il nostro TU-154 si è dimostrato nel corso degli anni almeno altrettanto affidabile dell'occidentalissimo Boeing 727, altro trireattore appartenente alla stessa generazione tecnologica.

Sono tutti e due entrati in servizio intorno alla metà degli anni '60: nel 1963 il B-727, e nel 1968 il TU-154: 1832 i B-727 costruiti, contro i 1015 TU-154. Di questi aerei, 111 Boeing sono andati totalmente distrutti (hull loss) in seguito a incidenti, causando 3704 vittime con un rateo di sopravvivenza del 15,5%; le stesse statistiche, per il Tupolev, parlano di 59 perdite totali, 2736 morti e un rateo di sopravvivenza del 29%.

Appare dunque evidente che il TU-154, soprattutto se confrontato con un aereo simile per epoca di progettazione e tecnologia, non è poi quella “bara volante” che si vorrebbe far credere, e la realtà dei fatti ha cinicamente provveduto a smascherare questo falso scoop a nemmeno una settimana di distanza dai fatti di Surgut. Il 9 gennaio infatti un B-727 di Iran Air è purtroppo rimasto a sua volta vittima di un incidente il cui bilancio, ancora provvisorio, è di 73 morti.

In poche parole, il nostro giornalista ha preso lucciole per lanterne, perché il TU-154 è sì bandito (come lui ci fa notare) da molti anni dagli aeroporti europei, ma solo in virtù del fatto che i suoi motori (tre Kuznetsov NK-82) non soddisfano più i requisiti di contenimento dell'inquinamento acustico fissati dalle norme comunitarie.

Niente a che vedere dunque con la sicurezza, nel senso stretto del termine. E del resto chiunque si intenda un minimo di trasporto aereo sa che anche un aereo di ultima generazione, se si ignorano (o si fingono di ignorare) certe problematiche, può rivelarsi una trappola mortale (AF 447 docet), mentre qualsiasi vecchia carretta, sia essa un TU-154 o un B-727, se correttamente manutenzionata, è in grado di volare in sicurezza  (anche se non in economia) per decenni e decenni.

Il problema risiede casomai nei costi operativi sempre crescenti richiesti dalla manutenzione di macchine obsolete, nello scarseggiare di pezzi di ricambio, e nella disinvoltura con la quale tante, troppe, compagnie emerse dal nulla dopo la crisi economica e la caduta del cosiddetto “impero sovietico” hanno affrontato la sfida della competizione nel moderno sistema di trasporto aereo.

E proprio questo è il nocciolo della questione: in Iran, come in tante repubbliche sorte dalle ceneri della ex-Unione Sovietica (ma anche in Africa e in tanti paesi asiatici), i concetti di efficace manutenzione delle macchine, rigorosa selezione e addestramento degli equipaggi, corretta turnazione degli equipaggi stessi e continuo adeguamento delle infrastrutture aeroportuali passano troppo spesso in sottordine davanti a restrizioni di carattere economico e inadeguatezze tecniche e culturali. I risultati di questa situazione, che costituiscono motivo di reale preoccupazione tra gli addetti ai lavori, sono sotto gli occhi di chiunque sia seriamente intenzionato a vederli.

Tra gli “intenzionati a vedere” non si annoverano evidentemente certi giornalisti: per loro vale di più uno scoop.

(11 gennaio 2011)