Aiuti di stato?

Scritto da Pietro Pallini

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Mentre gli inglesi chiedono alla Commissione Europea di indagare in merito all'ingresso delle Poste Italiane nel capitale di Alitalia-CAI, sventolando il drappo rosso degli "aiuti di stato", giunge notizia che nel mirino della Commissione sono finite (o stiano per finire) anche alcune regioni italiane.


In questo caso però non si parla di operazioni di acquisizione di quote più o meno importanti di compagnie aeree, ma di "incentivi" corrisposti sotto diverse forme a compagnie soprattutto low cost per "convincerle" ad aprire alcuni voli, o meglio ancora una base, nell'aeroporto di zona, magari fino a quel momento sottoutilizzato e rimasto ai margini dei normali flussi di traffico.

Una pratica che magari ha il pregio di fungere da volano per altre attività produttive locali, ma che, se viene messa in pratica sfruttando i fondi degli Enti Locali, potrebbe configurarsi benissimo come indebito aiuto pubblico a compagnie private.

A dire il vero, nelle recenti iniziative della Commissione Europea nei confronti di alcune regioni italiane non c'è poi molto di nuovo, perché perfino la tanto sbandierata "sentenza di Charleroi", quella in cui la Commissione aveva riconosciuto la legittimità degli aiuti che la Regione Vallonia e la sua controllata BSCA (società di gestione dell'aeroporto) avevano accordato a Ryanair. parlava chiaramente di "aiuti di stato".

E se da un lato la Commissione non si era opposta agli aiuti (o almeno a una parte di essi), nella misura in cui tali aiuti consentivano o lo sviluppo e la valorizzazione di infrastrutture aeroportuali secondarie e sottoutilizzate e che rappresentavano un costo per la collettività, dall'altro aveva stabilito che sempre di "aiuti di stato" si trattava, ancorché accettabili in quel contesto.

Oggi evidentemente in Europa, complice forse il fatto che in Calabria e in Sardegna c'è il grosso sospetto che a finire nelle tasche di Ryanair siano stati fondi provenienti direttamente da finanziamenti EU, non la pensano più come allora, e hanno deciso di intervenire per vederci più chiaro. Tanto più che qualcuno ha calcolato che sui circa 150 milioni annui spesi da vari aeroporti italiani per attirare traffico turistico per lo più low cost, ben 100 finiscano alla compagni irlandese... altro che i 75 milioni una tantum che Poste Italiane dovrebbe versare per entrare in Alitalia!

E si badi bene che mentre per alcuni scali, Pisa in primis, gli "investimenti in iniziative di marketing e promozione", come eufemisticamente vengono definiti gli accordi con Ryanair paiono aver dato buoni risultati, ce ne sono tanti altri che a fronte dei soldi (pubblici) comunque spesi non hanno avuto i brillanti risultati che speravano.

Ne sanno qualcosa a Verona, arrivata sull'orlo del crac, o ad Ancona, dove gli introiti non arrivano a compensare il costo degli "incentivi". Per non parlare di Trapani, dove pare che a fronte di una co-promozione pubblicitaria di 20 milioni di euro corrisposti a Airport Marketing Limited, società irlandese controllata da Ryanair, in quattro anni i passeggeri siano sì triplicati, ma le perdite abbiano raggiunto la poco invidiabile cifra di 10 milioni di euro... e siccome l'accordo è in scadenza e va rinnovato, si chiede l'intervento della Regione.

Un altro caso di successo è invece quello di Bergamo, che ormai ha largamente superato Linate per volume di traffico, ma dove le disinvolte pratiche contributive e fiscali di Ryanair sono finite, come già era successo in diverse parti d'Europa, nel mirino della magistratura.

Per comprendere appieno la natura di questo genere di problema, occorre fare mente locale al fatto che la maggior parte dei dipendenti della low cost irlandese non è assunta direttamente, ma è alle dipendenze di un contractor (molto spesso, una società controllata dalla stessa Ryanair) con sede legale in Irlanda, e che alle regole fiscali e contributive irlandesi, ben più favorevoli di quelle del resto d'Europa dice di attenersi.

Quello che i giudici, e in particolar modo gli spagnoli, i tedeschi e i francesi, contestano è che la "compagnia" Ryanair ha di fatto (ed è uno dei punti di forza del suo operativo) aperto basi un po' dappertutto in giro per l'Europa, e che secondo la legislatura vigente il personale che presso tali basi è impiegato dovrebbe essere sottomesso al regime fiscale e contributivo di quel paese.

E' in base a tale principio che nell'estate scorsa in Germania e in Olanda furono lanciate vaste operazioni che portarono anche a numerose perquisizioni nelle abitazioni dei piloti. In Francia invece, poco più di un mese fa Ryanair è stata condannata a pagare 10 milioni di euro di danni e una multa per aver infranto, nella sua base di Marsiglia, il diritto del lavoro francese... ovviamente la compagnia ha annunciato ricorso.

Il fatto è che, come afferma senza mezzi termini David Learmount, prestigioso editor dell'autorevole FligthGlobal, "...Ryanair ha avuto successo grazie all'esistenza dell'Unione Europea e delle sue leggi, ma è anche molto abile nello sfruttare la mancanza di norme comunitarie e di orientamento sul mondo del lavoro, mettendo in atto pratiche tese a minimizzare i suoi carichi fiscali, previdenziali e pensionistici."

E anche, fa notare sempre Learmount, "...per evitare di dover contrattare con la sua forza lavoro...", ma questo è un altro discorso e ci torneremo a breve.

(10 novembre 2013)