Pilota o avvocato?

Scritto da Pietro Pallini

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250.000 in Asia e nel Pacifico, 200.000 tra Stati Uniti e Canada, 150.000 in Europa: queste le cifre che si ricavano interpolando i risultati di numerosi studi, alcuni dei commissionati anche dai due maggiori produttori di aeromobili del mondo. Sono i nuovi piloti di linea dei quali l’industria del trasporto aereo avrà bisogno di qui a vent’anni.


Solo negli Stati Uniti, uno studio che proviene stavolta dal Massachusetts Institute of Technology prevede che da qui al 2026 tra i piloti delle maggiori compagnie americane (Delta, Southwest, American, United, Alaska, JetBlue, più le due cargo UPS e FedEx) ci saranno 23.000 pensionamenti. Il problema è che queste big hanno l’abitudine, chiusi i rubinetti dei congedi dalle forze armate, di andare a cercare i nuovi piloti tra quelli, già relativamente esperti, delle compagnie regionali minori (con le quali hanno spesso anche accordi commerciali di code-sharing), e che sempre il MIT affermi che i piloti disponibili per questo genere di operazione siano al momento solo 17.000. Ovviamente, un simile prelievo di piloti provocherebbe (e in parte lo sta già facendo) grosse difficoltà alle compagnie minori, che in alcuni casi hanno già cominciato a tagliare i collegamenti meno remunerativi tra centri minori e grandi aeroporti.

Le piccole compagnie regionali, che secondo il modello fin qui descritto hanno negli ultimi anni svolto per i nuovi piloti il ruolo di “ponte” tra le scuole di volo e le grandi compagnie, sono sempre state considerate come una soluzione temporanea che consentiva di accumulare l’esperienza necessaria a conseguire una licenza ATPL completa (le famose 1500 ore) e nel frattempo cominciare a saldare in qualche modo il debito istruzionale che negli ultimi anni si è fatto sempre più gravoso.

Una licenza professionale costa, e a fronte dell’investimento da affrontare gli stipendi, soprattutto quelli pagati dalle regionali, sono sempre meno appetibili… e anche una volta passati alle grandi compagnie gli effetti dei tagli contrattuali rendono sempre più lontano il giorno in cui il debito accumulato nelle scuole di volo classiche o nei college universitari specializzati nel ramo aviazione sarà finalmente saldato. Insomma, a fronte di un investimento iniziale abbastanza pesante e di una professione che rimane molto impegnativa, le prospettive di avere una carriera di prestigio e raggiungere un solido benessere economico appaiono sempre più fumose.

In un filmato che circola in rete un giovane futuro avvocato confessa candidamente che a lui sarebbe piaciuto fare il pilota (e che probabilmente lo farà per hobby), ma che a parità di investimento iniziale, impegno per gli studi e aspettative economiche, ha preferito scegliersi una professione con meno responsabilità e che non lo obblighi a una vita di vagabondaggi, salti di fuso e orari scomodi.

Si sta insomma verificando quello che nella sua audizione davanti al senato americano il leggendario Sully, ormai alla soglia del pensionamento aveva lucidamente previsto: “I’m worried- affermò in quell’occasione l’eroe dell’ammaraggio sull’Hudson- that the airline piloting profession won’t be able to attract the best and the brightest” (Sono preoccupato perché la professione di pilota di linea non sarà più in grado di attrarre i migliori e i più brillanti).

E anche fuori dall’America c’è poco da stare allegri. In Giappone si prevede che la bolla dei pensionamenti scoppierà intorno al 2030, mentre da noi l’unica compagnia che in qualche modo si è sbilanciata è stata Air France, che pur non avendo problemi al momento, prevede di averne già a partire dal 2025, e che sta elaborando una strategia per fronteggiare il problema.

Cosa che peraltro sta accadendo anche negli Stati Uniti, dove le compagnie maggiori cercano di concludere accordi su tutta la filiera, dal finanziamento dei corsi fino ai programmi di assunzione dalle compagnie minori, passando attraverso la partnership con scuole di volo e college.

Tutto in via di risoluzione? Fino ad un certo punto, perché anche questa specie di “percorso obbligato” che dal primo volo porterebbe i candidati ai comandi di un jet di linea ha le sue controindicazioni… non ultima quella di configurarsi come una variante appena poco mascherata del famigerato “pay to fly” che affligge tante compagnie in Europa e in Estremo Oriente.

(17 novembre 2018)