Uomo o macchina? - I

Scritto da Antonio Chialastri

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E’ ormai “in finale” l’ultima fatica letteraria di Antonio Chialastri, nata dalle considerazioni condivise da un gruppo di esperti sulla tragedia del volo GermanWings 9525. Ve ne proponiamo in anteprima alcuni stralci, dedicati al tema della sostituzione dell’uomo con la macchina. (prima parte)


Dopo ogni disastro aereo e in particolare nel caso del volo Germanwings, l’opinione pubblica è giustamente inquieta. Vuole sapere come sia possibile che dei piloti, nelle cui mani le persone mettono la propria vita quando viaggiano in aereo, non abbiano come fine principale proprio la tutela e la cura delle vite che sono chiamati a proteggere.

È di particolare difficoltà trovare dei rimedi di fronte alla volontà auto-distruttiva del pilota, perché questo esula dall’approccio che ha sempre funzionato nell’industria aeronautica e cioè selezionare persone molto motivate, formarle ai valori professionali, addestrarle ciclicamente per rispondere ai vari tipi di situazioni pericolose che si possono verificare in volo e controllarle attraverso numerosi esami - previsti sia nei simulatori, sia nel volo di linea - per verificare che il rispetto delle prestazioni sia in linea con i dettami professionali ed organizzativi.

Tradizionalmente, una volta che si investe un pilota della qualifica di Comandante, si ammette di riporre in lui la massima fiducia, sapendo che egli opererà sempre nel rispetto della delega ricevuta. In campo nautico, e per estensione aeronautico, vige il detto “Dopo Dio, il Comandante”. Si badi bene, questa non è una prerogativa esclusivamente italiana, come potrebbe desumersi dalla nostra concezione del potere conferito, inteso come totale arbitrio. Anche nelle altre lingue e nelle tradizioni marinaresche europee esiste lo stesso detto “Master after God” e “Seul maître à bord après Dieu”. Con questa espressione, in realtà, si vuole mettere in evidenza non il carattere di semi-Dio del Comandante, ma semplicemente il fatto che nella tradizione marinara del Settecento, quando un armatore conferiva ad una persona il comando di una nave che doveva navigare fino all’altro capo del mondo, si dava per scontato che non vi fosse un controllo, né la possibilità di comunicare tempestivamente per prendere delle decisioni. Così, sopra il Comandante c’era solo Dio, nel senso che non vi era l’armatore a dettare modi di comportamento e decisioni operative.

Tutto ciò, tra l’altro, non riguarda solo il campo nautico e aeronautico, ma qualsiasi lavoro particolarmente delicato dal punto di vista della tutela della vita umana. Da sempre gli uomini si chiedono: Chi controlla il controllore?

Quando lo Stato mette una pistola in mano ad un Carabiniere, noi ci aspettiamo che egli la usi secondo giudizio. Lo stesso avviene quando la società delega a delle figure di garanzia come possono essere un chirurgo, un direttore di una centrale nucleare, di rappresentare quel non plus ultra oltre il quale i controlli non possono andare. Se la persona che deve garantire la sicurezza si comporta in maniera diametralmente opposta, si crea un senso di ansia, di inquietudine, di sfiducia nell’utenza che è perfettamente naturale e comprensibile.

Occorre, ancora prima di intervenire, capire da cosa sono causati questi fenomeni. Per l’ennesima volta, nella storia dell’aviazione, ci troviamo di fronte al fattore umano come fonte di problemi.

Anche stavolta, immancabilmente, emerge da più parti la consueta richiesta di sostituire l’uomo con un computer. Abbiamo già citato Alan Turing, il padre della moderna informatica, e il suo scetticismo relativamente alla possibilità di affidarci interamente ai computer, occorre tener presente che il problema relativo all’uomo, nei sistemi ad alta complessità e ad alto rischio, va affrontato studiandolo, analizzandolo e trovando la soluzione mirata, con la consapevolezza che essa sarà sempre provvisoria.

Non ci sono scorciatoie semplici, non ci sono ricette pre-confezionate, non esiste la panacea per tutti i mali. (continua)

(20 settembre 2016)