Dalla parte dei pax...

Scritto da Fabio Bosco

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Sedetevi, ho una storia da raccontarvi...
Correva l’anno 2017, precisamente lunedì 11 dicembre.
Dopo un weekend passato in Italia per assaporare il clima natalizio, mi toccava rientrare in Svezia, dove il clima invernale mai se ne era andato.


Parto da Linate (il city airport dei milaneisss) con, e purtroppo lo scoprirò solamente una volta seduto e cinturato sull’aereo, un ritardo di circa un’ora. Capita, recupereranno in volo e la coincidenza dovrebbe essere intatta... al pelo, ma intatta. Arrivo a Bruxelles, e sembra di atterrare in Antartide ai tempi dei primi esploratori. Venti di traverso, nebbia, turbolenze e fiocchi di neve grandi quanto Galeazzi.

Dio benedica l’ILS. Sono le 9:22, 8 minuti alla partenza del prossimo volo. Non si è recuperato nulla neanche per sbaglio, ma se ho fortuna di scendere vicino al prossimo gate ce la posso fare. Il rullaggio al gate è qualcosa di quanto mai difficoltoso. Ed è così che un sentore si fa strada, ovviamente più veloce di quanto stiamo facendo noi sull’aereo, di ciò che a breve sarà certezza.

Coincidenza persa. Per 4 minuti. In mezzo alla bufera dell’anno, con 9 voli su 10 in ritardo, quello per Göteborg è più puntuale di un inglese per il tè delle 5.

Armato di buona pazienza e tanta voglia di chiudere questo rientro, mi metto in coda, e dopo 2 ore finalmente raggiungo uno dei 2 sportelli in tutto il terminal. (Chiedetemi cosa ne penso del servizio assistenza di Brussels Airlines, dai…) Ultimo posto sul prossimo volo in partenza al pomeriggio. Perderò la giornata a lavoro ma altro non si poteva fare.

Vado in Lounge per ammazzare il tempo, ma tra un pisolino ed uno spuntino si concretizza ciò che da un po’ era nell’aria. Aereoporto chiuso e voli cancellati. Realizzo subito di cosa dovrò morire. E non si tratta di qualche altra ora in un aeroporto dove l’unica smoking area dista 3 giorni a cavallo. No. Si tratta di code di qualche centinaia di metri per la riprotezione. Code che, in confronto, quelle agli Apple store per l’uscita del nuovo iPhone sono delle fast track.

Mi si accende la lampadina. Esco, e vado a farmi riproteggere alle partenze, dove ci sarà meno coda.
La bellezza dell’illusione è che non la si vede (la sòla) finché non ci si sbatte il naso. Qualcosa come 257 metri di persone in fila, che si snodano tra i banchi del check-in per l’intero terminal partenze.

Inizio a capire la “gravità” della situazione solo quando sento che un po’ tutti gli aeroporti del centro Europa sono chiusi, o con gravi difficoltà di partenze e arrivi. Nella mia mente si palesa una sorta di “gioco dell’oca”, come posso raggiungere il prima possibile la mia destinazione? Treni, bus, auto, slitte con dei simpaticissimi husky... Niente.

Il mio destino è stare in coda per le prossime 6 ore e mezza e condividere le mie disgrazie con persone da tutto il mondo. Una ripassata di inglese che male non fa. Dipende dai punti di vista, almeno. Il call center della compagnia, ncora di salvezza per molti, è l’ennesima prova delle difficoltà del momento. Non viene data la possibilità di dire “Hello…” che cade la linea. Più perentorio di una ragazza tradita che non ti vuole più parlare.

Ed è quando mi avvicino agli sportelli (a ‘sto giro sono 3), che gli oltre 100 voli all’anno pagano. Posso usare la mia sudatissima tessera di fedeltà e accedere, così, allo sportello della business class pur avendo un poverissimo ticket in economy. Riesco, così, a saltare gli ultimi 15/20 metri di coda che, vista l’andatura di 1 metro ogni 15 minuti, non mi dispiace.

Ma è solo un piccolo colpo di fortuna prima di un boccone quanto mai amaro. Tutti i voli per domani (oggi) sono pieni. Si parla di mercoledì, se va bene. Sarà che faccio facilmente colpo sulle signore di una certa età, ma gentilmente e dopo un po’ di sguardi da “cane bastonato”, mi trova un posto sul volo in partenza per il giorno successivo alle 9 di sera. Meglio che niente.

Ammetto che, però, la tranquillità zen che mi aveva accompagnato nelle ultime 12 ore in aeroporto (erano esattamente le 21:30 di sera), vacilla al momento della risposta alla mia richiesta di un voucher per una stanza d’albergo per la notte. “Sorry, we can’t provide accommodations for all of you, we’ll provide some beds in the hall of the airport though.”. E immagino già il mio letto fatto di panchine, il mio giaccone improvvisato piumone ed il borsone un cuscino morbidissimo.

Così, dopo una fugace cena fatta all’ultimo chiosco aperto alle 22 di sera in un aeroporto internazionale, una notte passata in compagnia di altri “barboni di viaggio” come me, arriva quella cosa che chiamarla “botta di culo” non rende sufficientemente l’idea.

Mi accingo al gate dove è in partenza il primo volo per Göteborg, con la labile speranza di un ultimo posto (anche in stiva andrebbe bene) per me. Ora, se mi chiedeste la scena che mi ha commosso di più, sappiate che, per un bel pezzo, la mia risposta sarà…

...le 9:30 di martedì 12 dicembre 2017, quando una ragazza all’aeroporto di Brussels mi sorride e, dandomi un biglietto in mano, mi dice “Sir, have a pleasant flight”.

(19 dicembre 2017)