Uscite di... emergenza

Scritto da Giovanni Salaris

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Chi viaggia in aereo di solito non presta molta attenzione alle caratteristiche tecniche degli aeroporti in cui transita. Spesso, la curiosità è catturata più che altro dalla disposizione e dalla varietà dei negozi anziché dalle varie piste di decollo ed atterraggio.

Una cosa che però sicuramente non passa inosservata è la velocità con cui avviene lo sbarco. Soprattutto in Italia, è comune l’abitudine di precipitarsi verso le uscite dell’aeromobile, non appena giunti a destinazione. Tanto che i comandanti sono non di rado costretti ad invitare i passeggeri a rimanere allacciati, sino a quando gli appositi segnali non saranno spenti. Si tratta di una questione di sicurezza, spesso trascurata, ma da non sottovalutare. Una frenata improvvisa nel percorso verso l’area di parcheggio può causare danni assai maggiori rispetto a una turbolenza d’alta quota.

Del resto, in attesa che la bizzarra proposta di dotare alcuni aeromobili di posti in piedi trovi applicazione, per il momento, gli aerei non hanno molto in comune con autobus e tram, e stare seduti rimane la soluzione migliore, la più sicura fino a quando l’aereo non sia completamente fermo.

Spesso, una volta raggiunta l’aerea di parcheggio, ci si rende conto che l’uscita consentita dall’aeromobile è una soltanto. Lo sbarco avviene tramite finger (letteralmente “dito”, sia in inglese che in tedesco). Se fuori piove i viaggiatori saranno felici di attendere qualche minuto in più e di accedere direttamente alle aeree aeroportuali. Se invece splende il sole, è probabile che qualcuno comincerà a guardare l’orologio con insofferenza o, magari, acceso il telefono, comincerà a mandare i primi sms e a fare le prime chiamate: sano e salvo. Sono arrivato. Che c’è a cena? Qui tutto è ancora fermo, dovrei arrivare presto, se si sbrigano.

Qualcuno se la prende perché un passeggero sosta lungo il corridoio, impedendo il passaggio. Un altro, nella foga, recupera il suo bagaglio a mano dalla cappelliera e colpisce una signora alle sue spalle.

Per un passeggero claustrofobico il finger può rappresentare un ostacolo, in vari sensi. Infatti, oltre a rallentare la sua uscita dall’aeromobile, lo costringe a passare attraverso un ulteriore “tubo di metallo”, facendogli rimpiangere a volte le compagnie low-cost che su certi aeroporti, una volta nell’area di parcheggio, spalancano i portelloni e gli danno via libera. Resta l’inconveniente, in questi casi, di poter essere travolti dal traffico aeroportuale o di cadere dalla scaletta, ma questo è un altro discorso, e almeno si fugge una volta per tutte dallo spazio chiuso dell’aereo e si respira l’aria aperta, densa degli aromi del cherosene.

Se ciò sembra piuttosto accettabile per un aereo di dimensioni relativamente piccole (100-150 passeggeri), il problema si fa evidente per colossi quali il B777 o l’A340, capaci di trasportare oltre il doppio dei passeggeri. L’uscita da un solo portellone per simili modelli di aeromobile può rivelarsi assai meno agevole e dispendiosa in termini di tempi.

Non a caso, è piuttosto attuale la problematica dell’ammodernamento delle infrastrutture aeroportuali per venire incontro a quello che è al momento il più grande aereo passeggeri del mondo, l’Airbus A380, aereo a due piani che in genere presenta configurazioni di circa 500 passeggeri ma che promette per il futuro di trasportarne oltre 800. In Italia, un’iniziativa in questo senso è stata già presa di recente presso lo scalo di Malpensa coi progetti d’ammodernamento dei satelliti del Terminal 1, mentre un anno fa, sono stati ordinati due finger per quello di Fiumicino.

Del resto, se, in occasione di una simulazione d’emergenza, i costruttori di Airbus sono riusciti a fare evacuare 875 passeggeri in soli 78 secondi, anche le infrastrutture aeroportuali in futuro potrebbero permettere lo sbarco da più portelloni e da più finger. Almeno per i “giganti dei cieli”…

(2 aprile 2011)