La mia Africa

Scritto da Antonio Chialastri

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Tutti gli europei che visitano l’Africa nera rimangono talmente colpiti da tornare a casa con una sorta di nostalgia, una variazione sul tema di quello che i calciatori brasiliani chiamano saudade... eppure, l’Africa ha una serie di rischi.

Rischi che, per un europeo abituato ad andare in giro in un ambiente risk-free, potrebbero rappresentare una limitazione alla voglia di tornarci. A parte le guerre, endemiche, che infestano il continente, a parte le malattie che sono tra le più letali del pianeta, a parte il clima che spesso è oltre la soglia di ambientamento per un europeo, c’è tutta una parte che è sconosciuta all’uomo bianco: gli animali ed i cicli naturali.

In Africa ci si accorge che siamo completamente svincolati dalla natura e che non sappiamo riconoscere una bacca selvatica da una spiga di grano. Per un cives, cioè cittadino non solo nei diritti politici, ma anche e soprattutto inteso come cittadino integrale, è destabilizzante constatare la propria inabilità a confrontarsi con la Natura, per il senso di impotenza che si prova durante un safari.

Ci sono molti parchi naturali in Africa, dei quali i più famosi sono il Serengeti e il ‘Ngoro ‘Ngoro, situati nella zona di confine tra Tanzania e Kenya, il Kruger Park in Sudafrica, il Delta dell’Okavango, al confine con il Botswana, l’Etosha Park in Namibia. A differenza dello zoo, dove gli animali vivono in cattività e perdono il loro istinto originario, negli sterminati parchi africani è il visitatore che vive in cattività dentro la jeep. Se esce, è fatto: un milione di pericoli sono in agguato, tanto da far pensare che il film horror “Non aprite quella porta” sia relativo alla portiera della jeep.

Kant aveva torto, quando sentiva la nullità dell’uomo davanti al cielo stellato. È lì, immerso nel suo ambiente originario, la savana, che l’uomo occidentale capisce di essere una nullità nel creato. Tutto cospira per ucciderti: dal semplice morbo, alle erbe velenose che nascondono serpenti micidiali, ai grandi predatori. In pratica, si potrebbe scommettere che un europeo medio non riesca a passeggiare dieci minuti di fila da solo in mezzo al bush senza rimetterci la buccia.

Noi realizziamo neanche più conto che il nostro ambiente naturale è, in realtà, quasi interamente artificiale. Non esistono supermercati nella savana, così come non ci sono bancomat. L’elettricità è sconosciuta al babbuino, al pari dell’acqua corrente. Le comunicazioni dipendono dalle corde vocali piuttosto che dalle onde radio.

Immerso nella Natura l’uomo si rende conto dei propri punti deboli: non ha artigli, non ha corazze, non è veloce, non ha denti, non ha capacità di adattamento alimentare, a dispetto del fatto che è onnivoro.

Non solo siamo carenti di difese naturali, ma non sappiamo neanche più quali siano i ritmi della Natura. Una leonessa va a caccia alle cinque di mattina, quando noi siamo nell’orario di sonno migliore.

Non sappiamo quasi nulla di etologia, cioè lo studio del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale, quindi non conosciamo le abitudini dei nostri competitors, né abbiamo presente chi è la preda e chi il predatore. Non abbiamo più la percezione degli odori, come invece gli animali che si appostano sottovento e rilevano la presenza di estranei a centinaia di metri di distanza.

Non abbiamo un udito sviluppato a percepire le sottili vibrazioni degli alberi mossi da qualcuno e quando sentiamo un ruggito distintamente, solitamente è troppo tardi.

Non abbiamo neanche la vista idonea a individuare prede e predatori, testimoniato da ciò che mi capitò personalmente durante un safari. Una guida mi disse: “look at the elephant!”. Era a non più di venti metri e non vedevo nulla. Osservando più attentamente scorsi l’elefante sotto l’albero.

Più tardi ho riflettuto sul fatto che non siamo carenti di vista, ma di visione. Il nostro cervello è abituato dalla nascita a vedere linee rette, colori vivaci, contrasti di oggetti che si stagliano su uno sfondo omogeneo. La Natura predilige il mimetismo delle forme e dei colori. In Natura, una cosa eccessivamente colorata è spesso velenosa e serve proprio a dire “pericolo”. E d’altra parte, le prede e i predatori devono nascondersi: le prime per non essere identificate, i secondi per non dare troppo nell’occhio durante gli attacchi. Ecco perché non vedevo l’elefante.

Insomma, per bella che sia, l’Africa è un attentato alla tua auto-stima, proprio come una camera d’albergo. E' li che ti rendi conto che l’evoluzione dell’uomo è avvenuta sfruttando l’unica arma che abbiamo: l’intelligenza.

Purtroppo.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(25 maggio 2011)