A tavola

Scritto da Antonio Chialastri

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E a forza di andare in giro per il mondo, alla fine ci si accorge che il mondo è un posto strano. Non ci sono due paesi che si possono considerare reciprocamente “normali”: per noi è strana qualsiasi usanza non riusciamo a capire, eppure di queste usanze ve ne sono a bizzeffe.

Noi italiani siamo conosciuti in giro per il mondo a causa di alcuni stereotipi come la mafia, la musica, il cibo. Ebbene, non sono stereotipi: sono verità. La musica italiana è un brand internazionale, sulla mafia stiamo diventando un po’ demodé, superati da realtà che si stanno organizzando in modo molto più efficace, ma questo Paese ancora fa la sua porca figura, avendo eliminato il confine tra buoni e cattivi, tra lecito e illegale.

Però, per il mangiare, il mondo si deve inchinare allo strapotere italiano. E non è una questione di gusti: è un giudizio oggettivo. È vero che inorridiamo quando un thailandese mangia una cavalletta, ma loro ci fanno notare seraficamente che, quanto ad estetica, non è molto diversa da un gambero... sul gusto non sono riuscito a fare un paragone.

C’è chi mangia l’occhio del cammello, chi la coscia di leone, chi lo struzzo, chi la foca; e poi, serpenti, pesci di tutti i tipi, verdure più o meno commestibili. I cibi sono cotti, crudi, lessi, arrostiti, glassati, rosolati, oppure freddi, caldi, bollenti, rendendo vera la massima di mia nonna: “quello che non strozza, ingrassa”.

Gli adorati mici di casa sono la delizia di molte popolazioni asiatiche, per non parlare del cane che in Corea è un piatto nazionale. In compenso, loro si indignano perché mangiamo il coniglio, questo animale paffutello che fa tanta tenerezza, ma che ha la carne dura.

Una mia ragazza svedese, che si era stabilita in Italia, riusciva a mangiare pane e mortadella inzuppato nel caffè amaro. Ancora oggi non riesco a concepire nulla di altrettanto barbaro e mi domando perché mai gli svedesi abbiano la fama di gente civile: una persona civile non cucina la torta di carote, non prepara le aringhe in tutte le salse, non mette il gurka (cetriolo) sotto aceto pretendendo di abbinarlo al salmone. Non si fa. Non è etico.

E chi ha mai bevuto il vino greco? Diventerà mai aceto? O già lo è?

Il pudding inglese poi è qualcosa di veramente strano non tanto per noi, quanto per loro stessi, che non si capacitano di come il resto del mondo, quelle inutili sette miliardi e rotti di persone, lo consideri una specie di impasto per il calcestruzzo.

I cibi potrebbero essere argomento di scontro di civiltà, come spesso accade, oppure di semplice discussione... che infatti, si chiama tavola rotonda perché non esiste un capo-tavola che imponga agli altri quali cibi mangiare. Anche perché vi sono modi e modi di consumare i pasti.

Io ho portato mio figlio Damiano al ristorante etiope a Roma per farlo mangiare con le mani, visto che non ci sente ad usare la forchetta a casa. Loro mangiano tutte le pietanze su uno strato di pane, chiamato incera, che viene man mano strappato, creando degli involtini con i quali avvolgono il cibo. Lo zighini, un piatto a base di carne e sugo piccantissimo, è una vera delizia e di solito ne respiriamo l’odore per una settimana, poiché a lui piace pulirsi le mani sulla tappezzeria della macchina: ha finalmente capito che con le mani unte non deve toccare il pianoforte, quindi si vendica sui sedili della macchina.

Per non parlare delle posizioni in cui si mangia: in piedi, in ginocchio, seduti, sdraiati. Devo dire che è solo una questione di abitudini, poiché gli antichi romani mangiavano sdraiati, ma una sedia è molto più comoda. Mi hanno portato recentemente in un ristorante dove si mangia sdraiati, e ne ho apprezzato molto il cibo, tanto che ho pensato bene di portarmene un po’ a casa... in bella mostra sul bavero della giacca.

Anche in piedi non si mangia male, ma mi limito a cappuccino e cornetto. Quando invece ci si siede per terra con le gambe conserte, la posizione va bene se hai meno di sei anni. Dopo i diciotto cominci ad avere qualche dolore muscolare e dopo i quaranta rischi il colpo della strega, a meno di prendere la cittadinanza kazaka, perché ti ci vuole la gru per alzarti. Tanto vale rimanere lì e fare la figura del saggio immobile.

Non vorrei essere accusato di sciovinismo, quando dichiaro che la cucina italiana è tra le più rinomate del mondo. La varietà, la qualità, la fantasia con la quale abbiamo cucinato tutti gli alimenti del mondo non ha pari nel globo terracqueo.

I cinesi avranno anche inventato gli spaghetti, ma noi avevamo le forchette. La pizza è nata a Vico Equense, vicino Sorrento, ma ha conosciuto una fortuna nei quattro angoli del pianeta. La mozzarella è un capolavoro non meno delle altre opere d’arte che ci ostiniamo a maltrattare. Sono stato testimone di un assalto all’arma bianca ad uno stand allestito per la fiera del made in Italy a Pechino nel quale il parmigiano, fu letteralmente “fumato” da un esercito di cavallette che avevano lo stemma del partito comunista. Il prosciutto di Parma è qualcosa che ha un marchio come la Ferrari. I vini italiani fanno parte del patrimonio enologico che dovrebbe essere protetto dall’UNESCO.

Per non parlare della posizione geografica che il Padreterno ci ha regalato, che ci permette di coltivare la frutta migliore d’Europa, la verdura più varia del Mediterraneo, gli ulivi che producono il miglior olio del mondo (lo dicono le gare internazionali, che l’olio di Canino è al top).

Nonostante tutto, con questo ben di Dio, l’italiano non è mai stato grasso come un americano, non è mai stato gonfio come un tedesco, né allampanato come un inglese. Vuol dire che una volta tanto la fortuna che si trova involontariamente tra le mani non l’ha dissipata con i soliti comportamenti autolesionisti.

E questa è una buona notizia.

(19 ottobre 2011)