Piloti vs controllori

Scritto da Antonio Chialastri

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Metà dello stress che si accumula nella cabina di pilotaggio è indotto dai controllori di volo, che a loro volta dicono la stessa cosa dei piloti. Piloti e controllori devono parlarsi per forza e questo innesca delle dinamiche ormai note, come se fosse una discussione tra moglie e marito.


Sui controllori di Roma girano degli aneddoti divertenti, tanto che  sulla comunicazione tra piloti e controllori ci si potrebbero fare dei monologhi di cabaret.

Ad esempio, la chiamata iniziale dall’aereo alla torre si effettua per dire che si è pronti alla partenza. In realtà, la frequenza non è presidiata da un controllore di volo, ma da un operatore aeroportuale che si trova in un ufficio e che può avvalersi di telecamere disseminate per tutto l’aeroporto, in grado di verificare se l’aereo che chiama è effettivamente pronto.

Quindi, la prima chiamata si basa sull'assunzione che il pilota sia un baro che vuole mettere in moto i motori, senza considerare che se non sei completamente pronto neanche puoi partire, a meno che tu non voglia andare in giro con le stive aperte. In effetti, questa procedura è stata ideata in modo tale da non avere troppi aerei sulla frequenza che deve gestire i movimenti a terra.

Una volta appurato che l’aereo è pronto, c’è la seconda chiamata che si fa alla Torre di Controllo, per ottenere l’autorizzazione a mettere in moto i motori. In inglese, si dice: “XXX ready to start”, cioè pronto a mettere in moto.

Immancabilmente, a Fiumicino, dopo la prima chiamata non c’è risposta. In realtà, come i baristi dell’aeroporto, anche il controllore ha capito benissimo la tua richiesta, ma vuole che tu glielo ridica di nuovo. Infatti, se resisti alla tentazione di chiamare di nuovo e aspetti fiducioso, si sentirà la voce del controllore gracchiare: “Station calling?”, che tradotto vuol dire: “Quale è l’aereo che sta chiamando?”

Nonostante tu l’abbia già detto, ripeti il nominativo radio e la tua piazzola, la tua destinazione, con il famoso “ready to start”... e immancabilmente, la risposta è. “Stand-by”, cioè rimani in attesa.

È rimasta famosa la frase di un pilota americano, abituato a venire a Roma, che apostrofò scherzosamente la ground di Fiumicino: “Fiume Ground, this is American 687, we are ready for stand by”. Il controllore, alterato, chiese di ripetere la richiesta e diligentemente l’americano utilizzò la chiamata standard: “Ready to start”. La risposta del controllore di volo fu: “Stand by!

Tutto ciò malgrado tu sia in perfetto orario per un volo programmato tutti i giorni per la stessa destinazione. Dopo un breve periodo arriva l’autorizzazione a mettere in moto i motori, con le istruzioni riguardanti la prima parte della rotta, le quote autorizzate e il codice da inserire nel transponder, cioè lo strumento che segnala al controllore radar posizione e quota una volta in volo.

La terza chiamata è per muoversi dal parcheggio, sia con l’aiuto di un trattore che spinge l’aereo fuori dal parcheggio, sia per rullare fino alla pista di decollo. Anche lì, frequenze congestionate, tanti aerei che sono in frequenza, comunicazioni concitate, toni di voce altissimi, tanto che spesso dico al pilota di aprire il finestrino per sentire dalla viva voce del controllore la nostra autorizzazione.

Di solito, il controllore di terra non indossa la cuffia, ma parla con un microfono in cui entrano tutti i rumori di sottofondo della sala di controllo, rendendo non solo le comunicazioni difficili da capire, ma anche le risposte dei piloti ambigue. Anche lì, gli americani dimostrano di avere un sarcasmo non indifferente, perché ultimamente ho sentito distintamente un: “Welcome to the jungle”.

Finalmente, si arriva alla frequenza di torre (la quarta che si è cambiata in poco meno di dieci minuti), per ottenere l’autorizzazione al decollo. Il frastuono delle comunicazioni di terra, improvvisamente sparisce, per immergersi nel silenzio della frequenza di torre dove l’atmosfera è ovattata, le comunicazioni ridotte all’essenziale, e la concentrazione pare condivisa tra controllore e pilota.

La cosa paradossale è che i più gravi incidenti della storia dell’aviazione commerciale sono avvenuti a terra, non in volo. È un concetto evidentemente difficile da far passare che il volo comincia appena si chiudono le porte, e non quando si staccano le ruote da terra.

Invece, i primi  dieci minuti sembra di passarli al mercato della Vucciria, a Palermo.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(19 novembre 2012)