Il pianista sull'Oceano

Scritto da Antonio Chialastri

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Quando volavo sul lungo raggio mi fermavo in posti esotici, in alberghi magnifici dove era presente immancabilmente un pianoforte che non suonava nessuno. A Johannesburg, il direttore dell'albergo, un indiano molto simpatico, era solito accogliermi con un mazzo di chiavi e il suo benvenuto: “Oh, the king of piano is back".


Per lui era una gioia avere qualcuno che suonasse il piano fino alle tre di notte in quel resort sperso in mezzo al bush. Oltre l'equipaggio dell'Alitalia c'era anche un gruppo Air France e talvolta un equipaggio KLM. Regolarmente, appena si cominciava a cantare in italiano si avvicinavano tutti come mosche sul miele.

Serate indimenticabili con promiscuità varia tra “diversamente europei” finivano in grandi bevute, in flirt internazionali, in amicizie che sembravano di lungo corso. Il tutto, semplicemente suonando qualcosa per gli altri. Come quando giochi a pallone con degli sconosciuti. Il fatto di essere insieme in squadra crea un vincolo che anche a distanza di tempo si ricrea. Il tutto per aver dato due calci ad un pallone. Che strano, l’essere umano.

Per quello che riguarda la donna, il mio amico Oreste mi diceva sempre: "Minchia, tu sei un bastardo perché a te della musica non ti importa niente. Tu suoni il piano perché questo con le donne è una carabina". Sbagliatissimo. Io suono proprio perché produco endorfine. Mi piace mettere in moto il collante di un gruppo, giocare con le note, far cantare gli stonati. L'importante è stare in armonia, che non a caso è un modo di dire che viene dalla musica.

Per i più curiosi, il pianoforte è triangolare. Questo è dovuto al fatto che le note di sinistra, i bassi, sono lunghe e spesse, mentre quelle di destra - gli alti - piccole, tese e fine. Quando tu suoni una nota, poniamo il DO, entreranno in risonanza altre frequenze, come il Mi, il SOL e così via. Ovviamente, vibrando, una corda produce uno spostamento d'aria che solleciterà anche le altre corde. La cosa interessante però è che il FA non si muove. Quando il DO suona, il FA è fermo.

Ecco, le persone sono un po' come le corde del pianoforte. Ognuno di noi ha il suo FA, l'alterità radicale, cioè quello che non si emoziona per quello che a te fa vibrare o che si entusiasma per quello che a te fa schifo. Notare che DO e FA sono entrambi bianchi.

La metafora musicale è più che mai adatta a dare l’idea della condotta del volo. Infatti, quando si suona si devono seguire delle regole, delle proporzioni, delle best practice per raggiungere l’obiettivo di un’esecuzione ottimale. Cosa c’è di più fastidioso di qualcosa di cacofonico, di approssimativo, di raffazzonato quando si ascolta della musica in un concerto? È una specie di bestemmia.

Al contrario, cosa riesce di più a muovere l’animo umano quando l’esecuzione è talmente espressiva da portare la mente altrove? È il miracolo della musica, di trasportarti con il pensiero altrove, di procurarti una specie di viaggio. Ci accorgiamo di questo stato alterato di coscienza quando, improvvisamente, la musica cessa. Ci rimane una specie di languorino, una sensazione di incompiutezza, un fastidio che sfocia in irritazione come qualsiasi piacere che venga interrotto sul più bello.

Il musicista è un lavoro che, seguendo i criteri di remunerazione di Adam Smith, dovrebbe essere pagato forse più di qualsiasi altro lavoro. Infatti, il tempo speso per acquisire le competenze necessarie si calcola in decenni. Se decidessi domani mattina di intraprendere un corso di studi di fisica nucleare, già so che dopo quattro anni di duro studio conseguirò una laurea, parlerò di supernove, di quark, di formule astruse che solo pochi iniziati potranno comprendere. Se invece decido di imparare a suonare il pianoforte, so già che dopo quattro anni sarò un’aspirante pippa.

C’è infatti la fase della comprensione delle regole, quella dell’esercizio fisico che consiste nella coordinazione degli arti, dello sviluppo della sensibilità musicale che addestra l’orecchio a comprendere dei giri armonici e gli intervalli tonali. Dopo la fase della comprensione c’è quella delle esecuzione. Si riesce, se uno è portato, a replicare dei pezzi celebri di media difficoltà. Dopo questa fase, c’è quella della creatività, in cui lo strumento è un pezzo di braccio, una naturale estensione dell’anima, con il quale possiamo esprimerci. Per arrivare a questo livello passano non meno di dieci anni. Nessun’altra attività richiede così tanto tempo per esprimere il proprio talento.

Analogamente, il volo deve essere condotto in accordo con delle regole. Il pilota impara una serie infinita di norme, di leggi fisiche, di funzionamento degli impianti di bordo, di regole di condotta del volo che inizialmente deve seguire pedissequamente. Infatti, il pilota non sa dove sono i propri limiti e l’aderenza alla norma è ciò che gli garantisce di mantenersi nell’area della sicurezza.

Con il tempo e l’esperienza, si può pensare di derogare dalle norme, se ciò è richiesto da condizioni particolari, ma avendo sempre chiaro quali sono i motivi che spingono ad allontanarsi dalle regole e avendo sotto controllo i livelli di rischio. Allo stesso modo del musicista, che devia dalla regola dell’armonia per creare un cromatismo, cioè una nota che non fa parte della tonalità ma che suonata nel modo giusto ci sta bene, anche il pilota che non applica la regola deve sapere se quello che sta facendo è qualcosa di efficace o se sta prendendo una “stecca”.

E le stonature, in volo, si pagano care. L’unica differenza è che il pubblico non si esprime con un “Ooohh” di disapprovazione, ma con un “Aaahh” di terrore.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(11 settembre 2013)