In sosta a Tel Aviv

Scritto da Antonio Chialastri

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“La città che non dorme mai”, così la chiamavano ed in effetti un po' di verità c'è in questa definizione di Tel Aviv. Vista dall'altro sembra una specie di New York mediorientale, grattacieli, costruzioni avveniristiche, centri commerciali all'ultimo grido. Grandi commercianti, gli israeliani, così come i loro vicini libanesi.


Qui si può trovare di tutto, ma soprattutto troveranno sicuramente il modo di venderti di tutto, con la loro capacità di grandi negozianti. Qui avrò comprato cose che non mi servivano assolutamente, solo per il fatto che il commesso era talmente smart da invogliarmi a portare qualcosa di inutile a casa, convinto di aver fatto l'affare della mia vita.

L'impatto con la città comincia con l'aeroporto, che è grande, con piste lunghe ed orientate in modo molto intelligente: tre piste che sembrano un triangolo, in modo che il vento sia sempre favorevole, da qualsiasi parte soffi. La cosa che ho notato è che ci lavorano moltissimi giovani. La seconda cosa che si nota è che una volta usciti dall'aeroporto, sembra sempre di essere ancora all'aeroporto; controlli di sicurezza dappertutto, check point militari sulle strade, vigilantes di guardia nei centri commerciali, negli alberghi, vicino ai ristoranti, telecamere onnipresenti, metal detector ad ogni piè sospinto.

Nonostante tutto, la vita scorre abbastanza tranquillamente, con una varietà di locali, ristoranti, negozi, centri commerciali che operano a pieno regime, come una macchina ben rodata che ha bisogno di poca manutenzione per girare. La cucina ebraica è una delle mie preferite; un miscuglio tra cucina mediorientale e contaminazioni culturali di chi viene da ogni parte del mondo per stabilirsi in Israele. Talvolta, anche a Roma vado a mangiare al ristorante kosher al ghetto, chiedendo delle ricette che poi riprovo a casa. Anzi, che mia moglie riprova a casa. Io ho la funzione di assaggiatore ufficiale.

L'altra cosa che si nota a Tel Aviv è che ci sono moltissimi giovani. La percentuale di ragazzi sotto i trent'anni che hanno incarichi di responsabilità è elevatissima, soprattutto se paragonata al nostro Paese senescente in tutto.

I grattacieli della parte centrale la rendono simile ad una New York, senza però la frenesia della metropoli americana. Il vantaggio è che Tel Aviv ha delle spiagge grandi, capienti, con acqua calda e possibilità di fare il bagno da aprile ad ottobre. Sulla battigia ci sono molte facilities per fare sport; delle specie di palestre all'aperto, pubbliche, facili da usare per fare ginnastica.

Il via vai di persone che fanno jogging rende difficile capire quando si corre per fare sport o perché è suonato un allarme. Ormai sono diversi anni da quando suonò l'ultimo, ma la mentalità è sempre quella del Paese sotto assedio. I giovani devono fare un servizio militare lungo, intenso, molto differente dal modello burocratico cui la mia generazione è stata abituata a vedere il periodo di naja. Sono moltissimi i volontari, anche donne, che decidono di servire il proprio Paese anche quando avrebbero la facoltà di evitarlo.

Ultimamente, mentre ero in sosta a Tel Aviv ho assistito ad una manifestazione contro il caro vita, contro i politici, contro la corruzione, che mi ha fatto riflettere sul fatto che occorre dare un'occhiata fuori dai propri confini per ridimensionare i propri problemi e i motivi di insoddisfazione. Come diceva Epitteto, un saggio stoico: “Non permettere a nessuno di incidere sulla tua felicità”. In ogni occasione c'è l'opportunità di trarre qualcosa di buono, di istruttivo o di utile.

Solo che delle persone sono a prova di saggio stoico. Evidentemente, non solo in Italia.

(29 aprile 2015)