Lo sghiacciamento

Scritto da Antonio Chialastri

Stampa

Il pilota non ha molto da scegliere riguardo alla stagione migliore per volare. D’inverno c’è ghiaccio, freddo, neve e nebbia. D’estate ci sono i temporali tropicali, le raffiche di vento e il windshear. E qualche volta, di rado, c’è anche bel tempo.


Dato che combattere contro le intemperie è una specie di seconda pelle, uno si mette l’anima in pace e cerca di affrontare volta per volta le varie situazioni che, come una tassa, non mancano mai. Una volta ero a Mosca, dove il decollo era previsto ad un’ora che è meglio non dire: buio, freddo, vento, tormenta di neve, tutti ingredienti che facevano venire voglia di tornare in albergo e mettersi sotto le coperte; invece lì, stoici come due carabinieri sull’altare della Patria, a prendersi le avversità del clima russo. Il fatto è che oltre a proteggerci con indumenti adatti, occorre proteggere anche l’aereo, perché come a noi, anche a lui fa male la neve. Anzi, il ghiaccio.

È noto che gli Esquimesi hanno diverse definizioni di ghiaccio, perché ci vivono tutto il giorno e tutto l’anno, mentre noi non distinguiamo tra quello del freezer e quello della pista da sci. Invece, i piloti hanno una loro classificazione del ghiaccio che è più precisa di quella dell’uomo comune, ma meno paranoica di quella dell’Esquimese.

Fondamentalmente, ci sono tre tipi di ghiaccio: farinoso, brinoso e vetrone. I primi due tipi sono abbastanza innocui, mentre il terzo è molto insidioso perché, come si evince dal nome, è trasparente.

Quali sono i pericoli legati alla presenza di questo ghiaccio sulla struttura dell’aereo? Anzitutto, l’aereo pesa di più. Parecchio di più. In secondo luogo, la forma dell’ala si modifica, creando problemi di portanza. In pratica, il flusso dell’aria che deve passare sul dorso dell’ala per “aspirarla” (e tirare su di conseguenza il resto dell’aereo) risente di una perturbazione tale da non poter sviluppare la forza verso l’alto, che è ciò che fa volare l’aereo.

In ultimo, i pezzi di ghiaccio si possono staccare una volta in volo e colpire parti sensibili della coda, oppure venire ingeriti dai motori, provocandone lo spegnimento. Insomma, con il ghiaccio non si scherza.

Ci sono stati fior di incidenti legati alla problematica del ghiaccio. Ne sanno qualcosa gli americani che hanno raccolto diversi aerei dentro il Potomac, il fiume di Washington che ha la sventura di trovarsi proprio sul prolungamento dell’asse pista dell’aeroporto.

Come si può affrontare tale problematica? In un modo molto semplice: togliendo il ghiaccio dalle ali. Sembra un’operazione di routine, ma in realtà è molto delicata. Chi ha viaggiato qualche volta d’inverno in aereo si sarà imbattuto nella procedura di sghiacciamento, notando dei mezzi che si posizionano nei pressi delle ali, spruzzando un liquido antigelo che serve a togliere il ghiaccio presente e fornire una protezione contro eventuali formazioni di ghiaccio per i prossimi quindici-trenta minuti; una volta decollati, saranno gli impianti antighiaccio dell'aereo a mantenere pulite le ali.

Questo periodo di copertura si chiama hold-over time e dipende dal tipo di fluido utilizzato, dalle condizioni atmosferiche, dal tipo di precipitazione in atto, dalla percentuale di diluizione scelta dall’equipaggio. Il problema è che non funziona se c’è una tormenta in atto, o se il tempo necessario per arrivare in pista e decollare eccede questo periodo di copertura. Per stabilire se l’aereo può ancora decollare in sicurezza i piloti usano delle tabelle ma, soprattutto, il loro buon giudizio, anche perché l’alternativa è tornare al parcheggio e ripetere l’operazione ad infinitum, fintanto che non si è sicuri che le ali siano prive di contaminazione.

Si capisce che quella del pilota è una professione proprio da questi frangenti. Non ci sono certezze, non c’è un bianco e nero, ma aree grigie in cui è necessario applicare il buon senso, la propria esperienza, la valutazione fine per capire se una cosa è fattibile o no.

Una volta le procedure prevedevano che prima del decollo un pilota si alzasse, attraversasse la cabina passeggeri si recasse al finestrino in prossimità delle ali per valutare se le ali fossero libere da ghiaccio. È ovvio che è una finzione giuridica, perché è letteralmente impossibile rilevare il ghiaccio vetrone a distanza, da una cabina poco illuminata, con condizioni di nebbia, di notte o con precipitazione nevosa. Però, in caso di incidente, serviva per poter dire: io ti avevo detto di controllare. Se poi la cosa è fattibile o meno è un altro paio di maniche. Tutta la responsabilità ricade così sull’equipaggio.

Lorenzo de Medici, che era un aspirante pilota, cantava: “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia; Chi vuol essere lieto sia, di doman non v’è certezza”.

(25 novembre 2015)