Una giornata particolare - I

Scritto da Antonio Chialastri

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I - Se vuoi fare il pilota vuol dire che la vita tranquilla non è per te. Il problema è che uno vuole fare il pilota a vent’anni, quando l’adrenalina è in circolo, gli ormoni sono al massimo e i neuroni sono messi in ombra dalla tempesta ormonale.


Poi con il tempo i neuroni riacquistano la loro funzione primaria, gli ormoni si placano, l’adrenalina viene sostituita dalla dopamina e talvolta dalle endorfine. Contrariamente a quello che pensano molte persone, il volo è un’attività tutt’altro che routinaria. Va affrontato sempre con il massimo rispetto, con la dovuta concentrazione e con la scarica giusta di adrenalina per risolvere le situazioni che possono capitare.

Lo ripeterò fino alla noia: l’uomo non è fatto per volare. Quindi, stare in aria non è la nostra condizione normale per un milione di motivi. La terza dimensione, quella che chi ha i piedi per terra non conosce, ci impone di fare molta attenzione. Come già ho tante volte ricordato, il volo è un’attività piena di pericoli, ma a basso rischio. Sembra un’affermazione paradossale, ma se uno ci pensa si rende conto che noi riusciamo a mantenere livelli bassi di rischio attraverso l’addestramento, le procedure, l’esperienza, la tecnologia, il lavoro di gruppo e tutte le risorse che abbiamo a disposizione per evitare di incappare nel famoso “cigno nero”, cioè la cosa che non ti aspetti e che può cambiarti la vita.

L’unico volo che conta, infatti, è il prossimo. Tutto quello che hai fatto prima ti ha rafforzato, ti ha reso più esperto, ti ha dato nuovi strumenti di conoscenza, ma non ti ha immunizzato verso gli errori che inevitabilmente farai. D’altra parte, è noto da tempo immemore che errare humanum est. Però, mentre i Romani ritenevano diabolico il perseverare io penso che non ci sia nulla di più umano del ripetere gli stessi errori.

L’altro giorno sono stato in volo per tutto il giorno. Dopo un lungo periodo di tranquillità meteorologica, è arrivata la classica giornata particolare, quella in cui avresti voluto startene a casa a leggere un libro: venti di burrasca, pioggia fortissima, neve a tratti, turbolenza in aria chiara, aeroporti impegnativi per procedure e condizioni orografiche. Quattro voli in giornata con due copiloti diversi che per problemi di programmazione non potevano effettuare più di due voli ciascuno.

I primi due voli sono stati impegnativi. A Napoli c’erano 30 nodi di vento con windshear riportato in decollo. La procedura di arrivo è particolare perché richiede una grande concentrazione. L’avvicinamento comincia in mezzo alle montagne in prossimità di Benevento che ha un nome che trae in inganno. Infatti, prima che i Romani vincessero una battaglia importante e lo ribattezzassero Beneventum, si chiamava (a ragione) Maleventum, perché è sferzato continuamente da venti forti ed è situato proprio sotto un cumulonembo.

La traiettoria dell’avvicinamento verso il mare è più ripida del normale e richiede molta concentrazione per mantenere il corretto sentiero di discesa. Arrivati in prossimità della pista il controllore ci informa che alcuni aerei in partenza hanno riportato windshear, cioè rasoiate di vento che destabilizzano la traiettoria. In realtà, è un’informazione generica che va approfondita, poiché ci possono essere degli effetti sulla velocità diversi: questo fenomeno può sia farla aumentare improvvisamente, sia farla diminuire repentinamente, con risultati spiacevoli.

Allora chiedo alla torre di controllo di specificare che tipo di windshear è stato riportato. Chiedendo all’aereo appena decollato la risposta è: non c’è nessun fenomeno significativo. Quando atterro il vento è intorno ai 25 nodi, per lo più laterali, ma l’atterraggio avviene regolarmente anche con una toccata soffice che fa scattare l’applauso dei passeggeri i quali, nel frattempo, si erano intimoriti per la turbolenza incontrata nella parte finale del volo.

Tre quarti d’ora dopo, si riparte per Roma… (continua)

(1° aprile 2017)