Arriva il “gigante” Ragnetti, ma...

Scritto da Felice Saulino

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Cinquantatreesima puntata del dossier Alitalia CAI, per gentile concessione di Felice Saulino www.felicesaulino.it
...è un amministratore delegato dimezzato.

L’assemblea dei “patrioti” Alitalia, convocata il 26 marzo per approvare il bilancio 2011, sancisce il definitivo cambio della guardia al vertice della società. Tutto come previsto: fuori “Napoleone” Sabelli e dentro Andrea Ragnetti.

Ma, a dispetto dei suoi due metri di altezza, l’ex cestista Ragnetti è un amministratore delegato in miniatura. La sua delega per la gestione operativa viene limitata a 15 milioni di euro. Può arrivare a 30 con la firma del presidente. Sabelli poteva disporre di 50 milioni senza necessità di alcuna autorizzazione e questo la dice lunga sul peso del nuovo AD.

Se poi si aggiunge che Colaninno, confermato presidente, si è fatto dare la delega sul “controllo interno”, quella sul “coordinamento della segreteria societaria” e -soprattutto- la delega allo “sviluppo delle alleanze strategiche internazionali della società” è facile concludere che Ragnetti in realtà è poco più di un direttore generale. Il vero boss di Alitalia adesso è anche formalmente Roberto Colaninno.

Quinto azionista CAI con il 7 per cento e capo della cordata “patriottica” dalla nascita, il ragioniere di Mantova ha deciso di mettersi alla cloche per tracciare senza interferenze l’ultima rotta della “compagnia di bandierina”. Tempo stimato, dodici mesi: per arrivare a quel gennaio 2013 in cui scade il divieto di vendita delle azioni in mano ai patrioti CAI.

Le nuove delega volute da Colaninno vanno di pari passo con il rafforzamento dei soci forti di Alitalia: Banca Intesa San Paolo, che ha ottenuto il raddoppio dei consiglieri entrambi nominati nel comitato esecutivo, ed Air France che si è presa un altro posto nel CdA, portando i suoi consiglieri da tre a quattro. Un vero e proprio colpo di mano che avrebbe irritato gli azionisti minori ai quali la cosa non era stata nemmeno anticipata.

Malumori a parte, l’operazione del 26 marzo chiarisce una volta per tutta che ormai la partita di Alitalia dipende solo da Colaninno, Air France e Banca Intesa. Gli altri soci, con la sola eccezione (forse) dei Riva e dei Benetton non hanno alcun peso. A cominciare da Salvatore Ligresti che non controlla più il suo impero al limite del fallimento, per finire a Tronchetti Provera costretto a uscire dal CdA per far posto a chi conta veramente. Esattamente come il “gagà” Francesco Caltagirone Bellavista alle prese con i guai giudiziari legati alla costruzione del porto turistico di Imperia che lo hanno portato in carcere.

A questo punto, resta solo da capire che fine farà la “compagnia di bandierina”. L’esito più probabile resta il passaggio ad Air France, che non a caso ha portato a casa un altro consigliere di amministrazione, ma visti gli attuali problemi economici del colosso francese c’è sempre la possibilità dell’ingresso di un secondo partner internazionale e questo spiega la delega allo “sviluppo delle alleanze strategiche” voluta da Colaninno.

Come a dire: la nostra intenzione di ex patrioti è sempre quella di passare la mano a Parigi, ma siccome non possiamo aspettare che Spinetta finisca di sistemare i suoi conti, dovete darci la possibilità di cercare anche altri acquirenti.L’assemblea dei “patrioti” Alitalia, convocata il 26 marzo per approvare il bilancio 2011, sancisce il definitivo cambio della guardia al vertice della società. Tutto come previsto: fuori “Napoleone” Sabelli e dentro Andrea Ragnetti.

Ma, a dispetto dei suoi due metri di altezza, l’ex cestista Ragnetti è un amministratore delegato in miniatura. La sua delega per la gestione operativa viene limitata a 15 milioni di euro. Può arrivare a 30 con la firma del presidente. Sabelli poteva disporre di 50 milioni senza necessità di alcuna autorizzazione e questo la dice lunga sul peso del nuovo AD.

Se poi si aggiunge che Colaninno, confermato presidente, si è fatto dare la delega sul “controllo interno”, quella sul “coordinamento della segreteria societaria” e -soprattutto- la delega allo “sviluppo delle alleanze strategiche internazionali della società” è facile concludere che Ragnetti in realtà è poco più di un direttore generale. Il vero boss di Alitalia adesso è anche formalmente Roberto Colaninno.

Quinto azionista CAI con il 7 per cento e capo della cordata “patriottica” dalla nascita, il ragioniere di Mantova ha deciso di mettersi alla cloche per tracciare senza interferenze l’ultima rotta della “compagnia di bandierina”. Tempo stimato, dodici mesi: per arrivare a quel gennaio 2013 in cui scade il divieto di vendita delle azioni in mano ai patrioti CAI.

Le nuove delega volute da Colaninno vanno di pari passo con il rafforzamento dei soci forti di Alitalia: Banca Intesa San Paolo, che ha ottenuto il raddoppio dei consiglieri entrambi nominati nel comitato esecutivo, ed Air France che si è presa un altro posto nel CdA, portando i suoi consiglieri da tre a quattro. Un vero e proprio colpo di mano che avrebbe irritato gli azionisti minori ai quali la cosa non era stata nemmeno anticipata.

Malumori a parte, l’operazione del 26 marzo chiarisce una volta per tutta che ormai la partita di Alitalia dipende solo da Colaninno, Air France e Banca Intesa. Gli altri soci, con la sola eccezione (forse) dei Riva e dei Benetton non hanno alcun peso. A cominciare da Salvatore Ligresti che non controlla più il suo impero al limite del fallimento, per finire a Tronchetti Provera costretto a uscire dal CdA per far posto a chi conta veramente. Esattamente come il “gagà” Francesco Caltagirone Bellavista alle prese con i guai giudiziari legati alla costruzione del porto turistico di Imperia che lo hanno portato in carcere.

A questo punto, resta solo da capire che fine farà la “compagnia di bandierina”. L’esito più probabile resta il passaggio ad Air France, che non a caso ha portato a casa un altro consigliere di amministrazione, ma visti gli attuali problemi economici del colosso francese c’è sempre la possibilità dell’ingresso di un secondo partner internazionale e questo spiega la delega allo “sviluppo delle alleanze strategiche” voluta da Colaninno.

Come a dire: la nostra intenzione di ex patrioti è sempre quella di passare la mano a Parigi, ma siccome non possiamo aspettare che Spinetta finisca di sistemare i suoi conti, dovete darci la possibilità di cercare anche altri acquirenti.

Articolo pubblicato su www.felicesaulino.it sotto licenza
Creative Commons, riprodotto per gentile concessione dell'autore

L’assemblea dei “patrioti” Alitalia, convocata il 26 marzo per approvare il bilancio 2011, sancisce il definitivo cambio della guardia al vertice della società. Tutto come previsto: fuori “Napoleone” Sabelli e dentro Andrea Ragnetti.

 

Ma, a dispetto dei suoi due metri di altezza, l’ex cestista Ragnetti è un amministratore delegato in miniatura. La sua delega per la gestione operativa viene limitata a 15 milioni di euro. Può arrivare a 30 con la firma del presidente. Sabelli poteva disporre di 50 milioni senza necessità di alcuna autorizzazione e questo la dice lunga sul peso del nuovo AD.

 

Se poi si aggiunge che Colaninno, confermato presidente, si è fatto dare la delega sul “controllo interno”, quella sul “coordinamento della segreteria societaria” e -soprattutto- la delega allo “sviluppo delle alleanze strategiche internazionali della società” è facile concludere che Ragnetti in realtà è poco più di un direttore generale. Il vero boss di Alitalia adesso è anche formalmente Roberto Colaninno.

 

Quinto azionista CAI con il 7 per cento e capo della cordata “patriottica” dalla nascita, il ragioniere di Mantova ha deciso di mettersi alla cloche per tracciare senza interferenze l’ultima rotta della “compagnia di bandierina”. Tempo stimato, dodici mesi: per arrivare a quel gennaio 2013 in cui scade il divieto di vendita delle azioni in mano ai patrioti CAI.

 

Le nuove delega volute da Colaninno vanno di pari passo con il rafforzamento dei soci forti di Alitalia: Banca Intesa San Paolo, che ha ottenuto il raddoppio dei consiglieri entrambi nominati nel comitato esecutivo, ed Air France che si è presa un altro posto nel CdA, portando i suoi consiglieri da tre a quattro. Un vero e proprio colpo di mano che avrebbe irritato gli azionisti minori ai quali la cosa non era stata nemmeno anticipata.

 

Malumori a parte, l’operazione del 26 marzo chiarisce una volta per tutta che ormai la partita di Alitalia dipende solo da Colaninno, Air France e Banca Intesa. Gli altri soci, con la sola eccezione (forse) dei Riva e dei Benetton non hanno alcun peso. A cominciare da Salvatore Ligresti che non controlla più il suo impero al limite del fallimento, per finire a Tronchetti Provera costretto a uscire dal CdA per far posto a chi conta veramente. Esattamente come il “gagà” Francesco Caltagirone Bellavista alle prese con i guai giudiziari legati alla costruzione del porto turistico di Imperia che lo hanno portato in carcere.

 

A questo punto, resta solo da capire che fine farà la “compagnia di bandierina”. L’esito più probabile resta il passaggio ad Air France, che non a caso ha portato a casa un altro consigliere di amministrazione, ma visti gli attuali problemi economici del colosso francese c’è sempre la possibilità dell’ingresso di un secondo partner internazionale e questo spiega la delega allo “sviluppo delle alleanze strategiche” voluta da Colaninno.

 

Come a dire: la nostra intenzione di ex patrioti è sempre quella di passare la mano a Parigi, ma siccome non possiamo aspettare che Spinetta finisca di sistemare i suoi conti, dovete darci la possibilità di cercare anche altri acquirenti.