Un contratto poco aeronautico

Scritto da manualedivolo.it

Stampa

“Safety is paramount”, la sicurezza prima di tutto. La scritta dominava imperiosa nell’aula briefing di una scuola di volo degli States negli anni 90, anche se non bastava certo uno slogan per tenere sotto controllo 400 giovani e esuberanti allievi di 20 nazionalità che muovevano i loro primi passi verso il volo professionale.


E in quella scuola, come in tante altre, non mancavano di certo, più o meno gravi, gli incidenti. Tuttavia le regole sulla sicurezza erano ferree, e una tra queste era quella di non andare assolutamente in volo se non si era in condizioni psico-fisiche ottimali.

Quante cose sono cambiate da allora! A quei tempi tutti gli allievi ambivano a fare i piloti di linea e molti di loro ci sono riusciti, ma la professione e lo stile di vita del pilota sono radicalmente mutati negli ultimi 20 anni.

A quel tempo la maggior parte delle compagnie aeree erano principalmente statali e gli stati dotati di una discreta forza economica non si facevano problemi ad indebitarsi per ottenere un certo grado di prestigio internazionale, anche a vantaggio della safety. In quegli anni si partiva per un volo per destinazioni dove, una volta arrivati, si avevano molti giorni di sosta, idonei per riposarsi, ricaricarsi e a volte anche fidanzarsi. Le diarie fornite dalle compagnie erano sufficienti, a volte anche troppo, per condurre una vita più che dignitosa fuori casa. Se però il pilota, prima del volo, si trovava costretto a prendere qualche giorno di malattia, le uniche voci che andava a perdere in busta paga erano proprio le diarie, ma lo stipendio rimaneva essenzialmente invariato.

Ora le compagnie aeree appartengono per maggioranza ad investitori privati e gli stati mantengono a volte solo una piccola partecipazione e, in un mondo dove domina il mercato, i privilegi dei piloti di una volta sarebbero insostenibili e, a dir la verità, anche pubblicamente intollerabili.

Lo stipendio mensile di un pilota è, da quando chi scrive ha iniziato il volo di linea, sempre stato composto da una parte fissa e una parte variabile: quest’ultima si aggiungeva alla prima solo in caso di superamento di un certo tetto di ore di volo. Negli ultimi rinnovi contrattuali però si è giunti a concordare con le rappresentanze professionali che la parte più cospicua dello stipendio provenisse dalla produttività, ovvero “più voli e più guadagni”. La parte fissa dello stipendio si è così quasi dimezzata e la parte variabile può arrivare a concorrere fino al 70% dei guadagni totali.

Questa tipologia di contratto è stata ideata per combattere l’assenteismo, o almeno questa è stata la motivazione ufficiale, che si attestava per i piloti mediamente intorno al 5-6%, una percentuale di molto inferiore a quella di altre categorie professionali. I dati recenti hanno confermato gli obbiettivi di questa tipologia di contratto e l’assenteismo per malattia si è quasi dimezzato, attestandosi intorno al 3-4 %. Tutto bene quindi?

No...non direi proprio, perché se in questa differenza del 3% circa vi è, supponiamo, un 1,5% di “fannulloni” (termine molto in voga al tempo dell’ideazione di questo contratto) che vanno finalmente a lavorare, vi è il restante 1,5 % che vola in condizioni fisiche non ottimali. Tutto ciò comporta non solo un degradamento dei livelli di sicurezza, ma anche il rischio, nel caso di stati influenzali, di infettare gli altri membri dell’equipaggio.

Dobbiamo ammettere che i manuali di compagnia riportano sempre la dicitura “Quando il pilota si presenta per il servizio deve essere in buone condizioni fisiche e mentali... una gestione non responsabile può influenzare negativamente la sicurezza del volo”, bisogna però sottolineare che questo modello di contratto incoraggia a fare il contrario. Se non mi sento bene, da una parte ho le regole di compagnia che mi suggeriscono a non andare in volo, dall’altra se non vado in volo rischio di non riuscire a far fronte alle spese essenziali per la mia famiglia.

A questo punto dovrebbero intervenire il senso di responsabilità e la professionalità del singolo pilota, che sono valori purtroppo puramente soggettivi. Anche perché non possiamo ridurre un comportamento contro le regole e poco professionale ad avidità o semplice attaccamento al denaro, ma vi è anche un aspetto psicologico più profondo. E’ stato infatti dimostrato dagli scienziati che il perdere denaro scatena delle paure a livello inconscio assimilabili alla paura della morte e della perdita della vita stessa, la più atavica tra le paure dell’uomo.

Nelle più virtuose compagnie aeree internazionali, virtuose anche dal punto di vista economico, le cose funzionano in maniera ben diversa. Le voci fisse costituiscono la parte principale del salario mentre quelle variabili intervengono solo nel caso di superamento di una determinata soglia di ore di volo mensili che, con un’attenta pianificazione operativa, non viene quasi mai superata. L’astensione per malattia viene coperta fino ad un numero massimo di giornate annue concordate a livello contrattuale, numero di giorni che risulta statisticamente allineato con i valori fisiologicamente previsti nelle patologie di tipo influenzale. Laddove tale soglia venga superata, si applica una decurtazione salariale per ogni singolo giorno di assenza a favore del datore di lavoro. Nei lunghi periodi di assenza per motivi di salute (infortuni, malattie prolungate, interventi chirurgici, ecc...) il pilota è comunque tutelato da un punto di vista economico tramite sistemi di welfare, che possono essere di tipo pubblico o assicurativo privato. Ma in queste compagnie non accadrà mai che il pilota che si trova costretto a saltare un singolo volo veda il suo stipendio addirittura dimezzarsi, come invece accade qui in Italia.

La cosa più curiosa da notare è come questa tipologia contrattuale, tipicamente Italica nonché a mio giudizio molto poco aeronautica, è stata imposta, avallata e incoraggiata da categorie di persone che si sono dimostrate ben lontane dai concetti basici della sicurezza del volo. Dirigenti sindacali in aperto conflitto di interesse e politici che, non avendo obbligo di presenza nelle aule parlamentari, possono assentarsi quando meglio desiderano, percepire comunque un più che decoroso stipendio mensile e un generoso vitalizio a termine del mandato. Infine, amministratori che sono liberi di creare enormi buchi di bilancio percependo comunque i lauti salari stabiliti all’inizio del loro incarico e ai quali, per poterli mandar via, si devono anche dare liquidazioni milionarie.

Categorie di persone, quindi, che, oltre alla scarsa competenza provata in materia di safety aeronautica, non hanno neanche la minima idea di cosa voglia dire guadagnare in maniera proporzionale alla propria produttività.

(17 maggio 2014)