MH-370: riflessioni sul mancato ritrovamento - III

Scritto da Jean Paul Nanut

Stampa

(segue) Dopo la descrizione tecnica dei componenti di terra e di bordo passiamo ora a esaminare l’argomento da un punto di vista più operativo: quello di chi si trova nella malaugurata situazione di dover contare sulle trasmissioni di questi segnali per essere rintracciato e successivamente soccorso.


Ai fini della costruzione di uno scenario realistico, partiamo dall’assunto di avere sul nostro ipotetico volo precipitato in mare 2 ELT, uno automatico, fissato alla struttura dell’aeromobile, e uno portatile, con molta probabilità posizionato in maniera tale da essere facilmente raggiungibile, in una cappelliera o in uno degli scompartimenti del galley (cucina di bordo). L’ULB (vincolato alle scatole nere... ricordate?) invece sarà posizionato quasi certamente nella coda dell’aereo senza la possibilità di accedervi dall’interno dell’aeromobile.

Nota Bene: il riferimento alla presenza di almeno 2 ELT è coerente con la filosofia della duplicazione degli strumenti in base al principio che tutto quel che può rompersi e che ragionevolmente può essere duplicato, deve esserlo. Ricordiamo anche che le normative stabiliscono generalmente la base dalla quale partire cioè i requisiti minimi ma volendo, per aumentare la sicurezza, non ci sono limiti ad incrementare le proprie dotazioni sia in termini qualitativi che quantitativi.

Ma quante compagnie aeree investono in sicurezza oltre i requisiti minimi previsti dalle normative? Chissà se gli ELT che troveremo a bordo del nostro prossimo volo saranno quelli tecnologicamente più avanzati?

Gli ELT e gli ULB come tutti i componenti aeronautici hanno bisogno di manutenzione, che nel caso in esame è limitata alla verifica dello stato di carica della batteria ed eventualmente alla prova dei trasmettitori. Poca e semplice, ma pur sempre da fare. Quando abbiamo comprato l’ultimo biglietto aereo che costava meno di una pizza... questa manutenzione era inclusa?

Gli ELT di ultima generazione possono essere impermeabili ma possono anche non esserlo e comunque sott’acqua non funzionano. Ve lo immaginate un superstite con il giubbetto di salvataggio correttamente indossato che in mezzo all’oceano indiano cerca di utilizzare un ELT senza bagnarlo troppo? Bene, anche questo può... succedere!

E se l’aeromobile si rompesse in più parti (a seguito dell’impatto con l’acqua) non è ragionevole presumere che gli ELT collocati all’interno delle cappelliere e/o in qualche parte del soffitto della cabina passeggeri affondino insieme con la parte di aeromobile che li contiene? Si, e anzi questo è quello che, con molta probabilità, accade sempre.

Nell’impatto, se questo fosse superiore ad una certa soglia, potrebbe anche succedere che l’ELT automatico (quello che si dovrebbe accendere per g-shock) invece di iniziare a trasmettere subisca un danneggiamento e vada in avaria. Altrettanto dicasi per l’ELT portatile, quello da attivare manualmente, sperando che l’impatto lasci qualcuno in grado di andare a prenderlo.

Ma se anche gli ELT non affondassero immediatamente e fossero nelle condizioni di trasmettere i loro segnali ai satelliti, per quanto tempo dovrebbero trasmetterli affinché le LUT siano in grado di ricevere i segnali ritrasmessi dai satelliti e quindi calcolarne una posizione? Beh, dipende. In linea teorica circa.., è funzione dell’allineamento satellitare e degli ELT: insomma non si può prevedere con certezza.

Attenzione, l’utilità del sistema ELT-COSPAS/SARSAT non è in discussione, in oltre ventanni di onorata attività hanno contribuito al salvataggio di migliaia di persone e altre migliaia ne continueranno a salvare, in futuro. Gli ELT sono e rimangono sicuramente utili nella stragrande maggioranza dei soccorsi marittimi (di navi), terrestri e negli atterraggi “forzati” sulla terraferma, possibilmente in zone del pianeta dove la copertura satellitare è buona e continua. Nella rimanenza dei casi invece, come quelli in mare, la localizzazione affidata ai soli ELT e al loro rilevamento da parte dei satelliti, senza un riporto di posizione da parte del pilota o di un tracciamento radar, rimane a mio avviso molto discutibile e auspicabilmente suscettibile di una revisione del quadro regolatore.

Per quanto riguarda, invece, gli Underwater Locator Beacon, le cui ricerche vengono iniziate dopo che la fase di soccorso si è conclusa, ricordiamo che già nell’incidente dell’Air France 447 i 30 giorni di autonomia delle batterie non furono sufficienti a permetterne il ritrovamento. Le ricerche, infatti, ripresero qualche tempo più tardi dopo lunghi approfondimenti e con l’aggiunta di altre piattaforme sia navali che sottomarine.

Tali difficoltà vennero successivamente evidenziate anche dal Bureau d'Enquêtes et d'Analyses pour la Sécurité de l'Aviation Civile che raccomandò all’Autorità Regolamentare di prevedere l’installazione di batterie con una durata notevolmente superiore ai 30 giorni previsti dalle attuali certificazioni.

In conclusione, se non verranno modificate le attuali certificazioni dei suddetti dispositivi è molto probabile aspettarsi che casi del genere si ripropongano ancora. E in maniera ancor più frequente sia per l’aumento del traffico sia per la capacità degli aeromobili di volare con autonomie sempre maggiori e in zone sempre più remote del pianeta. (fine)

(23 maggio 2014)