F-35, l'aereo della polemica - III

Scritto da Franco Di Antonio

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(segue) 3 - Con l'allungarsi dei tempi di sviluppo dell'F-35 sono ovviamente aumentati ulteriormente i costi del progetto, già abbastanza elevati, che la rivista "World Military Affair" aveva già imputato alla discutibile scelta di voler creare un unico aereo per tre differenti ruoli operativi.


I dubbi vengono posti anche sui costi unitari di produzione e di manutenzione, che i militari americani stimano essere del 30-40% superiori a quelli dei caccia ora in servizio. E ci sono state anche accuse ufficiali ai costruttori di voler dissanguare il governo federale.

Per l’avvio dell’acquisizione e del supporto logistico la spesa totale è stimata in circa 10 miliardi di euro da completarsi entro il 2027. Nel triennio in corso, gli stanziamenti per l’acquisizione degli F-35 in Italia ammontano a 500,3 milioni di euro per il 2013, a 535,4 milioni per il 2014 e 657,2 milioni per il 2015. Naturalmente le cifre cambiano a seconda del numero di mezzi effettivamente acquistati come cambia il costo unitario. Insomma siamo al momento a circa il doppio di un Eurofighter.

La polemica sul costo del Joint Strike Fighter è anche un esempio di come le cifre possano essere usate in maniera strumentale. La lunga durata del programma significa che la cifra di sviluppo ed acquisto può essere diluita su molti esercizi, con un peso annuale ovviamente inferiore al complesso del progetto che di solito viene annunciato. Per l’Italia tale ammontare è, in ogni modo, compreso negli stanziamenti ordinari della Difesa, tra i più bassi in Europa.

Il nocciolo della questione è che il risparmio non si avrebbe sostituendo un tipo di aereo a favore di un altro, ma cancellando la funzione alla quale entrambi sarebbero destinati, ma è difficile accettare un disarmo unilaterale di fatto, con la scusa dei problemi di bilancio. Si tratta pur sempre di questioni d’ordine costituzionale, che non possono essere affrontate in maniera strisciante e fuori dei canali istituzionali.

Altre ipotesi, come l’eventuale prolungamento della vita operativa delle macchine oggi in linea, porterebbero un falso risparmio, perché l’invecchiamento comporta maggiori costi di manutenzione e ovviamente minori prestazioni operative. Occorrerebbero, secondo questa logica, molti più aerei per fare cose meno efficaci con la conseguenza di aver bisogno di più basi e più personale, quindi meno efficacia e costi maggiori. Già oggi, d’altra parte, il bilancio militare italiano è assorbito in gran parte dagli stipendi, a discapito delle tecnologie fondamentali nei teatri operativi.

Le ricadute occupazionali vengono minimizzate dai detrattori del programma. Limitarsi a considerare l’impatto del programma nell’occupazione diretta a Cameri però sottostima il fatto che diverse lavorazioni vengono svolte in altre aziende coinvolte nel programma, come per esempio i compositi prodotti nello stabilimento Alenia Aermacchi di Foggia, o i sistemi di aggancio dell’armamento realizzati da Aerea (su commessa diretta Lockheed Martin), o altri pezzi che già si costruiscono presso la OMA di Foligno.

“Se si può e si deve fare una critica al programma nel suo complesso,” afferma il gen. Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa e del Centro Alti Studi della Difesa “questa sta nella decisione, a mio avviso azzardata, troppo azzardata, di procedere all’avvio della produzione, (ancorché con bassi ratei), troppo presto durante lo sviluppo, anche se con l’impegno di retrofit per conseguire uno standard aggiornato.”

E il suo parigrado Christopher Bogdan (a capo del JPO-l’ufficio di programma del pentagono per il JSF), parlando dei costi, accenna all’Italia: “Se Canada, Turchia e Italia dovessero ritardare o ridurre i loro ordini di F-35, gli altri partner pagherebbero i loro aerei il 2-3 % in più”.

Tuttavia le parole: ”Non è con la fornitura di parti d’aerei di grandi dimensioni che Finmeccanica costruisce il suo futuro di operatore tecnologico d’avanguardia”, da parte della dirigenza della grande azienda di stato, fanno pensare ai bassi volumi di commesse e alla limitata ricaduta tecnologica garantita alle aziende italiane dal programma F-35: in pratica la redditività sarebbe estremamente limitata. (continua)

(2 febbraio 2015)