Un anno su cui riflettere - II

Scritto da Ivan Anzellotti

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(segue) II - Se davvero ci fosse carenza di piloti, per una elementare legge della domanda e dell’offerta le condizioni contrattuali offerte ai nuovi assunti dovrebbero migliorare. Accade invece il contrario, mentre la chiusura di molte compagnie mette sul mercato centinaia di piloti già formati in cerca di una veloce occupazione...


La tanto famigerata “carenza di piloti” appare dunque una fantasia che vive solo nella lotta tra agenzie per procurarsi il maggior numero possibile di clienti. E infatti, le vediamo ormai pubblicare annunci dal tono disperato in cui, per invogliare i piloti a rivolgersi a loro, promettono veloci promozioni a comandante anche quando la promozione non è affatto veloce o addirittura avviene dietro pagamento di importanti somme.

Il motivo più probabile per il quale siamo arrivati a questa situazione si può ricercare nella battaglia all’ultimo prezzo combattuta dalle compagnie negli scorsi anni, abbassando le tariffe a livelli non sostenibili per cercare di accaparrarsi passeggeri che, avendo oggi una scelta molto ampia, sono sempre alla ricerca del biglietto più economico. I problemi arrivano quando i ricavi non riescono più neanche a coprire i costi e si cominciano pure a erodere quei margini devoluti a garantire la sicurezza che in passato non venivano mai messi in discussione.

Una compagnia aerea è come un ecosistema in cui tutti gli elementi contribuiscono ad una parte del successo dell’impresa ed è indubitabile che i piloti giochino un ruolo importante, ma è anche certo che in scala maggiore, prendendo in esame la performance generale, gli unici responsabili del buon andamento del business sono i manager a capo dei vari dipartimenti, i quali prendono le decisioni che si ripercuotono sul piano finanziario delle operazioni.

Avere maggiori responsabilità significa anche che eventuali errori faranno sentire il loro peso in misura più rilevante. La scelta degli aerei da usare, la strategia del network, la gestione del personale, il marketing sono tutte aree sui quali i naviganti non hanno voce in capitolo e che se non gestite al meglio portano inevitabilmente alla bancarotta, come appunto abbiamo visto di recente.

Un fenomeno sorprendente al quale ho assistito varie volte anche direttamente nelle compagnie in cui ho lavorato è che, in caso di cessazione delle attività per ovvie cause manageriali, a farne le spese non sono mai i diretti responsabili.

In qualche modo i manager riescono sempre a essere riciclati altrove mantenendo le loro funzioni e i loro stipendi come se, acquisito tale ruolo, lo si debba mantenere a vita, quasi fosse un titolo nobiliare, e i poveri naviganti, a cui troppo spesso la stampa addebita colpe non loro, si ritrovano a migrare per il mondo alla ricerca di una compagnia dal management illuminato e, probabilmente, a ripetere ancora una volta l’iter di cui sopra.

Non ho una visione molto ottimistica per i prossimi anni. Credo che lentamente le piccole compagnie spariranno per far posto a pochi grandi gruppi che, senza una competizione al massacro, ristabiliranno dei prezzi sostenibili per la loro sopravvivenza e necessariamente dei costi più alti per i passeggeri, perché per volare sicuri in giro per il mondo non si può pagare lo stesso prezzo di un viaggio in autobus.

Alla fine dei conti forse le figure professionali di cui si sente la mancanza non sono quindi i piloti, ma i manager capaci, quelli che conoscono le problematiche legate al volo, che hanno una passione profonda per l’aviazione, un rispetto viscerale per i naviganti e tanta voglia di lavorare per il bene dell’azienda e non con l’unico scopo di sopravvivere anno dopo anno intascando bonus milionari per il raggiungimento di obiettivi creati ad hoc.

(30 gennaio 2019)