La Waterloo del Napoleone di Agnone

Scritto da Felice Saulino

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Prima puntata del Dossier Alitalia-CAI, per
gentile concessione di Felice Saulino www.felicesaulino.it 

In assenza di qualsiasi dichiarazione men che ottimistica da parte di Rocco Sabelli, l’amministratore delegato di Alitalia, il primo luglio tocca a Colaninno ammettere pubblicamente “qualche problema sulla puntualità” della compagnia. Il presidente parla di  “difficoltà” in via di “superamento”,  ma ormai non può più nascondere la realtà.

“Ogni giorno ci sono tra i 140 e i 150 aerei che partono in ritardo”. E, nel trasporto aereo, il “ritardo” è solo quello che supera i 15 minuti di tolleranza concessi sull’orario previsto.

Una settimana dopo è la volta di Corrado Passera. L’amministratore delegato di Intesa San Paolo è stato il vero regista dell’operazione Cai, l’uomo che ha messo insieme la “cordata patriottica”, imposto la presenza di mister Air One, Carlo Toto, e preparato il “Progetto Fenice”. Anche per il banchiere si tratta del primo accenno pubblico ai problemi della sua creatura. L’outing arriva, imprevisto, a margine di una manifestazione. Con una telegrafica risposta alla domanda di un giornalista sull’andamento dell’ex compagnia di bandiera: “Non si recupera in sei mesi un problema di 30 anni…”

A metà luglio, si sveglia Vito Riggio, il presidente dell’Enac. In vista di un’estate a rischio, con gli aeroporti in tilt e migliaia di passeggeri infuriati, non può continuare a chiudere gli occhi sui ritardi e i disservizi d’una compagnia aerea che “rappresenta oltre il 50 per cento del traffico totale…”.

I vertici di Alitalia e Aeroporti di Roma vengono convocati  per giovedì 16. E Riggio dà subito l’impressione di voler fare sul serio: “Siamo arrivati a un calo di puntualità drammatico…I passeggeri non sono pacchi…non è più tollerabile vederli aggirarsi stralunati per gli aeroporti, con il loro volo in ritardo e a caccia di uno straccio d’informazione…”. Alitalia  e Aeroporti di Roma hanno un paio di settimane di tempo per rientrare nella normalità: “Mi aspetto che siano prese immediatamente misure, prima del picco estivo…”.

È la prima volta che l’Enac mostra i muscoli, minacciando di esercitare i suoi poteri di autorità vigilante contro i “patrioti” legati al presidente del Consiglio. Segno che ormai perfino nei  palazzi romani si prende atto della situazione e si cominciano a prendere le distanze da Cai. Ma i disservizi sono “intollerabili”. Come tanti, troppi passeggeri hanno già provato sulla loro pelle. A Caselle, a Cagliari, a Fiumicino, a Linate, a Palermo e in tutti gli aeroporti in cui  sono stati “costretti ad aggirarsi stralunati, con il loro volo in ritardo e senza uno straccio d’informazione”.

Invece di continuare a tacere, Sabelli si sente attaccato sul piano personale. All’uscita dal vertice con Riggio, detta una replica stizzita: “Noi siamo preoccupati per quanto accade ai passeggeri – dice  davanti ai microfoni di Sky – ma tra quelli che non possono meravigliarsi per la situazione di Fiumicino c'è proprio l'Enac e il presidente Riggio che è lì da qualche anno e conosce bene la situazione...”

Rocco Sabelli, ingegnere chimico nato ad Agnone, è fatto così. Non tollera le critiche. Un esordio alla Gepi, un passaggio all’Eni, poi qualche anno a Telecom, dove nel 1999 incontra Colaninno che da quel momento se lo porterà dietro in tutte le sue avventure.

Come braccio operativo dell’ex “capitano coraggioso”, l’ingegnere molisano si è costruito una solida fama di tagliatore di costi e di manager spietato. Certo, il “Napoleone di Agnone” porta al suo attivo il risanamento della Piaggio, ma adesso l’Alitalia rischia di trasformarsi nella sua Waterloo.

Anche il tentativo di scaricare tutte le responsabilità sugli Aeroporti di Roma e sulla gestione di Fiumicino sembra debole. Come osserva maliziosamente un pilota Alitalia, “il nostro amministratore delegato non spiega come mai le altre compagnie, a Fiumicino, pur usufruendo dello stesso personale Adr, delle stesse strutture e degli stessi servizi non hanno i drammatici problemi di Cai…”. Già, come mai?

La risposta degli addetti ai lavori è che Sabelli – a furia di tagliare costi, personale, forniture e servizi – ha messo in piedi una struttura che non è in grado di gestire una compagnia aerea nazionale. Una scelta suicida, se è vero che nei primi cinque mesi dell’anno il load factor, il coefficiente di riempimento degli aerei Cai, è stato inferiore di 20 punti a quello dell’Air France e di 15 punti a quello della vecchia Alitalia fallita.

Di questo passo, a fine anno, la compagnia di Sabelli chiuderà con sei milioni di passeggeri meno di quelli previsti dal “Piano Fenice” e una perdita di almeno 300 milioni di euro.


 

LE CIFRE DEL DISASTRO
Adesso che il disastro della nuova Alitalia è sotto gli occhi di tutti, è troppo facile prendersela con Sabelli. Per cinque mesi tutti (o quasi) quelli che avrebbero potuto (e dovuto) lanciare l’allarme sulle difficoltà di Cai hanno preferito comportarsi come le classiche tre scimmiette: non vedevano, non sentivano e – soprattutto – non parlavano.

I giornali si svegliano solo a metà luglio. Fabrizio Gatti, sull’Espresso del 16 luglio, è il primo ad occuparsi del “Flop tricolore”. Dopo un meticoloso elenco di  guasti “non riparati”, voli dirottati su società minori, bagagli lasciati a terra e disservizi d’ogni tipo, arriva una notizia clamorosa: “La fusione con Air One non si farà”.

Ma la compagnia nazionale unificata (Alitalia più Air  One) non era l’architrave del “Progetto Fenice”? E gli accordi sottoscritti solennemente a Palazzo Chigi con la benedizione del governo e il plauso di Berlusconi? Colaninno non smentisce la notizia. Anzi. Una sua dichiarazione alla Reuters suona come una conferma: “È presto per dire se ci sarà una fusione tra Alitalia ed Air One”.

Il 12 luglio tocca al quotidiano romano Il Messaggero rivelare che i “patrioti” di Cai  hanno deciso di autoridursi la prima rata di pagamento per l’acquisto della compagnia. Invece dei 175 milioni di euro pattuiti con il commissario Fantozzi  intendono versarne meno della metà: 70. La spiegazione? Una detrazione di spese di manutenzione.

Il giorno dopo Fantozzi scrive una lettera al Messaggero, sostenendo di non saperne nulla. È una bugia.  Il commissario fa finta di  ignorare la storiaccia dell’autoriduzione della rata dovuta dai “patrioti”, perché, e questo è il messaggio in codice affidato alla lettera, “il commissario liquidatore è tenuto a sapere solo che c’è un contratto e che questo va rispettato”. Punto. Adesso la matassa dovrà essere sbrogliata dagli avvocati.

Anche i sindacati che a settembre 2008 hanno firmato l’accordo con Cai mettono le mani avanti. A fine giugno, i responsabili trasporti di Cgil Cisl Uil e Ugl scrivono un’allarmata lettera all’amministratore delegato. Per la prima volta, mettono in dubbio il futuro dell’azienda: “La nuova Alitalia non ha centrato gli obiettivi che si era data nel piano industriale: la qualità del prodotto è insoddisfacente e non trova gradimento da parte della clientela, in particolare nel segmento business, quello più redditizio…”

E Sabelli? Ignora la lettera. Si limita a far sapere di contare su una ripresa estiva.  Punto e basta. Ma ormai sull’autunno nessuno si fa illusioni. La previsione corrente tra gli addetti ai lavori è che, finita l’estate, Cai chiederà nuovi “sacrifici” ai dipendenti.

Lo stato si salute dell’ex compagnia di bandiera è impietosamente documentato dai pochi dati disponibili. Pochi, anzi, pochissimi, perché la strategia di comunicazione imposta dalla coppia Colaninno-Sabelli esclude la diffusione di qualsiasi cifra, di qualsiasi dato, di qualsiasi statistica.

In assenza di dati forniti dal Cremlino della Magliana, il 10 luglio tocca all’AEA, l’associazione delle compagnie europee, gettare un fascio di luce sull’Alitalia che viaggia con gli aerei semivuoti. A maggio ha imbarcato meno di due milioni di passeggeri (1.987.100). Il load factor è undici punti sotto la media delle 29 compagnie prese in esame. Da gennaio a maggio, il riempimento degli aerei è stato quindici punti sotto la media europea.

Dal vertice Alitalia non arrivano commenti e tutto procede come prima. Ai giornalisti e ai sindacalisti continua ad essere negata qualsiasi informazione. “Oggi, entrare negli uffici della Magliana (il palazzone romano dell’Alitalia) – confessa un pilota – è un’esperienza allucinante. Sembra di entrare al Cremlino di Breznev. Tra gli impiegati e perfino tra molti dirigenti cogli subito un clima di paura…”

I sindacati accusano Colaninno e Sabelli d’aver violato gli impegni solennemente sottoscritti a settembre a Palazzo Chigi? Silenzio.

È vero che le assistenti di volo con problemi familiari o di maternità, per essere assunte da  Cai, sono state costrette a firmare entro un quarto d’ora una dichiarazione in cui rinunciavano ai loro diritti? Silenzio. È vero che il personale con base Milano è costretto a operare su tre scali (Linate, Malpensa e Orio al Serio) secondo le necessità aziendali? Silenzio. È vero che – in barba agli accordi – i piloti in cassa integrazione sono ancora 860? Silenzio. È vero che i ricavi medi sono largamente al di sotto del previsto, meno 27% per le vendite dei voli nazionali e meno 22 per quelle dei collegamenti internazionali? Silenzio. È vero che da settembre l’Alitalia ha già seri problemi di liquidità? Silenzio.

Fra tanti dubbi, una certezza: la via maestra dell’aumento di capitale è tutta in salita.  Con un atteggiamento poco patriottico, gli azionisti hanno già fatto sapere di non essere disposti a mettere mano al portafoglio. Se le cose stanno così, a ottobre, per molti dipendenti appena assunti da Cai si riaprirà il baratro della cassa integrazione…

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