Quando in cockpit si incontrano culture differenti

Scritto da Ivan Anzellotti

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Ai passeggeri ancora piace visitare il cockpit e noi piloti siamo sempre felici di mostrare il nostro ufficio. Ormai durante il volo è vietato, ma a terra è sempre un piacere spendere qualche minuto in compagnia dei nostri ospiti per fare qualche foto e rispondere alle loro domande.


Qualche giorno fa una simpatica signora mi ha posto una domanda che non mi aspettavo: mi ha chiesto se il comandante e il copilota formano un equipaggio fisso e volano sempre accoppiati insieme.

Si è molto stupita quando le ho spiegato che invece gli equipaggi si cambiano continuamente. Certo in una piccola compagnia capita di volare spesso con lo stesso collega, ma in una grande, come quando lavoravo in Alitalia, mi è capitato di volare con dei comandanti solo una volta in nove anni e altri addirittura non li ho neanche mai incontrati.

Alcuni di questi sono poi emigrati in Qatar con me, quando abbiamo perso il lavoro in Alitalia, ed è stato strano conoscersi e volare insieme per la prima volta in un posto cosí lontano.

Lo stupore della signora nasceva dal fatto di non capire come due piloti che non si sono mai visti prima possano lavorare insieme in modo coordinato per pilotare una macchina così complessa. Anche un duo musicale, prima del concerto, fa mille prove, noi invece no, saliamo a bordo e ognuno sa cosa fare e cosa aspettarsi dall'altro.

Non è una magia, è il frutto di rigorose procedure chiamate SOP (standard operative procedures) che tutti conoscono e applicano a memoria.

Ora però, non dovete pensare che guidare un aereo sia solo seguire alla lettera una lunga sequenza di istruzioni standard: le SOP sono importanti, ma vanno anche adattate con sano buon senso alle mille differenti situazioni in cui un pilota può trovarsi.

Ma, appunto, quando possiamo parlare di buon senso?

Tra persone della stessa nazionalità e cultura è facile intendersi anche solo con un sguardo, ma quando a fianco ti trovi un pilota giapponese, arabo o indiano, non è così semplice.

Noi italiani siamo conosciuti per essere sempre un po' creativi e soprattutto allergici alle regole, per cui il dover eseguire delle procedure che altri hanno scritto per noi non ci viene poi tanto spontaneo. Ecco quindi che le SOP vengono trattate con una certa elasticità, ma sempre con il massimo rispetto per la sicurezza.

Un atteggiamento elastico non è invece concepibile quando in cockpit i due piloti hanno radici culturali e valori completamente diversi, perché quello che può sembrare normale a uno non è detto che lo sia per l'altro. Non è un discorso su chi ha ragione o chi ha torto: il cockpit è un luogo angusto, da dividere per molte ore insieme ad un perfetto sconosciuto che, a parte il lato professionale coperto dalle SOP, è tutto un mondo da scoprire.

Bisogna imparare velocemente ad adattarsi a questa persona che sarà il tuo partner per tutto il tempo del volo o della serie di voli ed è importante instaurare un rapporto cordiale, sereno e collaborativo in modo da ottenere una sana convivenza e alla fine garantire la sicurezza dei nostri amati passeggeri.

La lingua è la prima vera barriera. Tutti i piloti devono saper parlare inglese ovviamente, ma la conoscenza richiesta per le operazioni di volo è tutt'altra cosa rispetto a quella necessaria per conversazioni su argomenti generali. E non è solo un problema di lingua, ma anche di accento. I primi tempi della mia permanenza in Qatar è stato difficile. Non solo ho dovuto rapidamente migliorare il mio vocabolario, ma anche adattarmi alle infinite pronunce di persone di nazionalità diverse.

Io ho sempre cercato di prendere delle precauzioni per evitare di non essere capito. Parlavo lentamente, scandendo le parole e usando frasi semplici. Soprattutto, prima di iniziare la frase, richiamavo l'attenzione del comandante girando la testa chiaramente verso di lui, magari con un gesto della mano e solo quando ero sicuro di avere la sintonia necessaria iniziavo a parlare.

Ma non tutti si comportano allo stesso modo.

(24 maggio 2013)